Giovanni:
Avvocato, buongiorno.
Mi chiamo Giovanni e sono imprenditore.
Ho sentito parlare del nuovo delitto di autoriciclaggio.. Di cosa si tratta?

Avvocato:
Caro Giovanni,
in effetti con la legge 15 dicembre 2014, n. 186 è stata introdotta, all’art. 648-ter c.p. un’ipotesi di autoriciclaggio.
La norma punisce chi commette un delitto non colposo e ne reimpiega i proventi, vale a dire utilizza il denaro e gli altri beni che ha “guadagnato” commettendo quel delitto.
Tuttavia, non basta che utilizzi quel denaro e quei beni, per commettere autoriciclaggio, occorre che li utilizzi per particolari finalità.
La norma richiede, infatti, che i proventi del delitto siano impiegati in attività economiche o finanziarie, o, ancora in attività con finalità speculative.

Giovanni:
Mi faccia un esempio.

Avvocato:
Un imprenditore commette il reato di bancarotta fraudolenta (art. 216 l. fall.) facendo “sparire denaro” e beni della propria società (delitto non colposo).
Successivamente si scopre che ha investito in titoli quel denaro e quei beni (impiego dei proventi del delitto in un’attività speculativa).
Così facendo l’imprenditore, oltre che per bancarotta, potrà essere processato anche per autoriciclaggio ai sensi dell’art. 648-ter c.p.

Giovanni:
Ok, ho capito.
E cosa rischia un imprenditore che commette autoriciclaggio?

Avvocato:
La pena base è la reclusione da quattro a dodici anni unita alla multa da 10.000 a 100.000 euro.
Se però il delitto non colposo da cui i proventi sono derivati non è molto grave, cioè è punito con la pena della reclusione non superiore nel massimo a cinque anni, ala condotta di autoriciglaggio si applica la pena della reclusione fino a sei anni.

Giovanni:
Mi viene un dubbio, il delitto-base può anche essere un delitto tributario?

Avvocato:
Può esserlo, sì.
Ma ti ricordo che non tutte le irregolarità nelle dichiarazioni dei redditi costituiscono reato.
Se realizzi una dichiarazione fraudolenta usando fatture false, commetti sempre un reato, invece, se, per falsare la dichiarazione, usi altri artifizi, diversi dalle fatture false, commetti reato solo se, congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore a 30.000 euro (con riferimento a ciascuna delle singole imposte);
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante l’indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque è superiore a 1 milione di euro.
Ancora, la dichiarazione infedele, ossia quella in cui semplicemente dichiari il falso, costituisce reato solo se, unitamente:
a) l’imposta evasa è superiore a 50.000 euro con riferimento a ciascuna delle singole imposte;
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi è superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a 2 milioni di euro.
Infine, se non presenti la dichiarazione, commetti un reato solo se:
a) sei in ritardo rispetto alla scadenza di oltre a 90 giorni;
b) l’imposta evasa è superiore a 30.000 euro, con riferimento a ciascuna delle singole imposte.

Giovanni:
Un’ultima domanda, nell’esempio della bancarotta mi è chiaro quale sia il profitto, il denaro e i beni sottratti alla società, ma nei reati tributari, quali sono i proventi da “autoriciclare”?

Avvocato:
Giusta osservazione, Giovanni.
Sotto la vigenza della precedente disciplina dei reati tributari, contenuta nella L. 516/82, la cosiddetta “manette agli evasori”, l’evasione consisteva nella mancata annotazione o fatturazione dei ricavi da parte del contribuente. Così era facile individuare i proventi, coincidevano con i ricavati non dichiarati.
Dopo la riforma del 2000, il profitto del reato tributario sembra coincidere, invece, con l’imposta evasa, in quanto essa costituisce un risparmio per il contribuente, il cosiddetto “risparmio fiscale”.
In altri termini, anche se non c’è un vero e proprio arricchimento del reo, c’è un mancato impoverimento, che deriva dall’omesso pagamento delle tasse, o dal pagamento di un ammontare di tasse inferiore a quello dovuto. I proventi del delitto tributario coincidono, dunque, con il mancato impoverimento dell’evasore.
Certamente, accertare l’esatto ammontare di questo mancato impoverimento non è semplice, in quanto il profitto non coincide con le somme incassate e non opportunamente indicate nella dichiarazione, ma con l’ammontare dell’imposta evasa, la cui determinazione richiede un processo lungo, complesso e con componenti variabili e arbitrarie.
Come vedi la materia è molto complessa e gli accertamenti rischiano di essere effettuati in maniera discrezionale se non arbitraria. Chiunque rischia, a causa di un momento di distrazione, di essere indagato per autoriciclaggio.
Quindi, il mio consiglio è quello di rivolgerti a un avvocato specializzato che ti aiuti a prevenire qualsiasi problema con la legge.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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