Bancarotta Fraudolenta

In Italia, il reato di bancarotta fraudolenta è collocato all’interno dei reati fallimentari. Tale reato si consuma nel momento in cui un imprenditore o una società, dichiarati falliti attraverso la sentenza dall’autorità giudiziaria, attuano comportamenti imprudenti che impediscono ai creditori di rifarsi sul patrimonio personale o sociale. Il presupposto della sussistenza del reato fallimentare è la sentenza dichiarativa di fallimento (art. 17 della Legge Fallimentare).

La sentenza dichiarativa di fallimento presuppone l’accertamento dello stato di insolvenza. Lo stato di insolvenza si manifesta con inadempimento o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

L’art. 5 della Legge Fallimentare prevede che l’imprenditore che si trovi in stato di insolvenza è dichiarato fallito.

Il reato di bancarotta è disciplinato dalla Legge Fallimentare attraverso il Decreto n. 267 del 1942, modificato dal D.L. n. 59 del 2016, convertito e modificato dalla Legge n. 119 del 2016. Inoltre, la legge fallimentare regola anche gli aspetti civilistici del fallimento stesso.

La giurisprudenza distingue due ipotesi di bancarotta:

  • La bancarotta propria: reato commesso dall’imprenditore individuale e dai soci della società;
  • La bancarotta impropria: reato commesso da uno o più soggetti titolari di posizioni qualificate nell’ambito dell’impresa gestita in forma societaria.

Inoltre, per quanto riguarda la bancarotta fraudolenta, vengono classificate diverse ipotesi:

  1. patrimoniale: consiste in una serie di condotte che incidono negativamente sul patrimonio dell’imprenditore fallito come ad esempio la distrazione, l’occultamento, la dissimulazione la distruzione e la dissipazione dei beni;
  2. documentale: consiste in una serie di condotte attuate sui libri e sulle scritture dell’impresa che ledono la corretta conoscibilità della situazione patrimoniale dell’imprenditore come ad esempio la sottrazione, la falsificazione, di libri per procurarsi un profitto illecito;
  3. preferenziale: consiste in una serie di condotte di favoritismo verso un possibile creditore.

Per quanto riguarda quella patrimoniale:

  • Bene giuridico tutelato: interessi dei creditori;
  • Soggetto attivo: imprenditore, amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori di società dichiarate fallite;
  • Elemento soggettivo: Dolo specifico (con lo scopo di recare pregiudizio ai creditori).

Per quanto riguarda quella documentale:

  • Bene giuridico tutelato: tutela dei creditori attraverso la corretta tenuta dei documenti contabili;
  • Soggetto attivo: imprenditore, amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori di società dichiarate fallite;
  • Elemento soggettivo: dolo specifico (con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto).

Per quanto riguarda quella preferenziale:

  • Bene giuridico tutelato: tutela della par condicio creditorum;
  • Soggetto attivo: imprenditore, amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori di società dichiarate fallite;
  • Elemento soggettivo: dolo specifico (con lo scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi).

Bancarotta fraudolenta: quale pena?

Bancarotta fraudolenta, qual è la pena? In Italia, il reato di bancarotta fraudolenta non è disciplinato dal Codice Penale ma dalla Legge Fallimentare, in particolare dall’art. 216. Tale articolo prevede che:  È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

  • ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
  • ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
  1. La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
  2. È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.
  3. Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

L’art. 223 della Legge Fallimentare, invece, disciplina i fatti di bancarotta fraudolenta:

  1. Si applicano le pene stabilite nell’art. 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
  2. Si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell’art. 216, se:
  • hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile;
  • hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società.
  1. Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 216.

Bancarotta fraudolenta: quale significato?

Bancarotta fraudolenta: quale significato? Il reato di bancarotta fraudolenta può essere collocato nei reati che vengono commessi da una categoria di soggetti ben precisa: gli imprenditori, che vengono denominati “colletti bianchi”.

Il sociologo statunitense Sutherland definiva i crimini dei colletti bianchi come reati non violenti, commessi da un soggetto rispettabile, di elevata condizione sociale. Tali crimini vengono commessi durante l’attività lavorativa e il movente è quello economico.

Sono molteplici le tipologie di reato commesse dai colletti bianchi:

  1. I reati societari (Corporate Crimes);
  2. I reati occupazionali (Occupational Crimes);
  3. I reati fallimentari (come ad esempio il reato di bancarotta fraudolenta);
  4. I reati ambientali;
  5. I reati tributari.

Purtroppo, i reati commessi da tali soggetti non vengono percepiti dall’opinione pubblica come un crimine vero e proprio: ciò accade grazie all’occultamento del reato che è causato dalla complessità delle leggi che regolamentano il sistema economico e fiscale e dalla consulenza di specialisti che permettono alle aziende di eludere le leggi.

Per tali motivi, risulta particolarmente complesso comprendere la reale portata di tale crimine. Inoltre, un’ulteriore conseguenza risulta essere la rappresentazione distorta della criminalità.

Da ciò deriva, quindi, una capacità nascosta di nascondere la propria condotta criminale in quanto i cosiddetti “white collar” sono soggetti che godono di uno status socio-economico elevato e, quindi, sono soggetti privilegiati. Inoltre, tali reati sono molto complessi e, per questo, di difficile individuazione. Un’ulteriore difficoltà risulta essere quella di riuscire a provare le singole responsabilità individuali.

La prova che i reati commessi dai colletti bianchi sono impuniti e poco conosciuti è dato dal numero di soggetti presenti nelle carceri italiane: su 62.536 carcerati, solo 230 hanno commesso un crimine da colletto bianco.

In Italia, il crac della Parmalat è stato il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta.

Tale scandalo, venne alla luce solo alla fine del 2003 ma le difficoltà finanziare erano già iniziate agli inizi degli anni Novanta. Lo scandalo ha coinvolto circa 150.000 risparmiatori ed è stato causa di vere e proprie rovine economiche di molte famiglie. Il buco finanziario si aggira intorno ai 14 miliardi di Euro, 7 dei quali riguardano prestiti obbligazionari.

Negli anni ’60 Calisto Tanzi fondò la multinazionale Parmalat. Già negli anni ’90, però, i bilanci della Parmalat vennero falsificati allo scopo di evidenziare una situazione di crescita complessiva della multinazionale, e di nascondere, al contrario, le aree di criticità che stavano emergendo.

Inizialmente, la Parmalat cedeva crediti falsi nei confronti di società riconducibili alla famiglia Tanzi, in cambio di corrispettivi mai ricevuti, oppure con l’iscrizione di falsi ricavi tramite il supporto di falsi contratti. Col passare del tempo, invece, la multinazionale adottò un unico soggetto per attuare le operazioni fittizie: la Bonlat Financing Corporation, un’azienda con sede nelle Isole Cayman che veniva controllata dalla Parmalat.

Nel 2002, però, la Parmalat continuava a chiedere finanziamenti, dichiarando, però, una liquidità che superava i quattro miliardi di euro.

Per questo motivo, la Consob chiese di verificare, ad una società di revisione, l’esistenza delle liquidità. Il risultato di tale verifica fu che il denaro non esisteva. Così, Tanzi venne condannato in primo grado a 18 anni di reclusione.

Le banche che avevano aiutato la multinazionale facendole credito e dandole liquidità attraverso l’emissione di bond. Il ricavato di questi bond veniva utilizzato dalla Parmalat in parte per rimborsare le banche.

Tramite documenti falsi, la Parmalat riusciva ad ottenere dalle società di factoring e dalle banche l’anticipo delle somme fatturate che si aggirava intorno ai quattro miliardi di euro annui.

Bancarotta fraudolenta e prescrizione

Bancarotta fraudolenta va in prescrizione? L’art. 157 del codice penale disciplina la prescrizione dei reati. Tale articolo prevede che:

“La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.

Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante.

Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva.

La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato.”

Per quanto riguarda il reato di bancarotta fraudolenta, colui che è chiamato a rispondere di tale reato viene punito con la reclusione da tre a dieci anni. Quindi, il termine di prescrizione previsto per il reato di bancarotta fraudolenta è di 10 anni.

Il termine di prescrizione decorre dal momento in cui viene dichiarata la sentenza di fallimento (Cass. pen. Sez. V, 11/05/2017, n. 45288).

per quanto riguarda, invece, la bancarotta fraudolenta aggravata, la Cassazione ha chiarito che: “In tema di reati fallimentari, nell’ipotesi in cui all’ammissione alla procedura di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, la prescrizione del reato di bancarotta fraudolenta aggravata, decorre dalla sentenza dichiarativa di fallimento e non dall’ammissione al concordato preventivo. Trattasi infatti di due procedure disuguali, la cui diversità non consente di intravedere, nella successione delle vicende processuali, la stessa connotazione idonea a consentire l’assorbimento cronologico della seconda nella prima” (Cass. pen. Sez. V, 12/03/2014, n. 15712).

Reato

Alla luce di quanto detto, l’art. 216 l. fall. disciplina il reato di bancarotta fraudolenta e prevede diverse ipotesi di reato. Tali ipotesi si distinguono fra loro in base alla tipologia della condotta illecita, all’oggettività giuridica, al tempo di consumazione del reato e alla sanzione prevista.

L’art. 216, quindi, prevede una disposizione a più norme in quanto prevede diverse ipotesi di reato che sono diverse fra loro.

La Corte Costituzionale, con la sentenza 5 dicembre 2018, n. 222, ha dichiarato l’l’illegittimità costituzionale dell’art. 216, ultimo comma: E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 216, ultimo comma, R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui dispone: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”, anziché: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni”.

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