Bancarotta fraudolenta: quale significato? Il reato di bancarotta fraudolenta può essere collocato nei reati che vengono commessi da una categoria di soggetti ben precisa: gli imprenditori, che vengono denominati “colletti bianchi”.
Il sociologo statunitense Sutherland definiva i crimini dei colletti bianchi come reati non violenti, commessi da un soggetto rispettabile, di elevata condizione sociale. Tali crimini vengono commessi durante l’attività lavorativa e il movente è quello economico.
Sono molteplici le tipologie di reato commesse dai colletti bianchi:
- I reati societari (Corporate Crimes);
- I reati occupazionali (Occupational Crimes);
- I reati fallimentari (come ad esempio il reato di bancarotta fraudolenta);
- I reati ambientali;
- I reati tributari.
Purtroppo, i reati commessi da tali soggetti non vengono percepiti dall’opinione pubblica come un crimine vero e proprio: ciò accade grazie all’occultamento del reato che è causato dalla complessità delle leggi che regolamentano il sistema economico e fiscale e dalla consulenza di specialisti che permettono alle aziende di eludere le leggi.
Per tali motivi, risulta particolarmente complesso comprendere la reale portata di tale crimine. Inoltre, un’ulteriore conseguenza risulta essere la rappresentazione distorta della criminalità.
Da ciò deriva, quindi, una capacità nascosta di nascondere la propria condotta criminale in quanto i cosiddetti “white collar” sono soggetti che godono di uno status socio-economico elevato e, quindi, sono soggetti privilegiati. Inoltre, tali reati sono molto complessi e, per questo, di difficile individuazione. Un’ulteriore difficoltà risulta essere quella di riuscire a provare le singole responsabilità individuali.
La prova che i reati commessi dai colletti bianchi sono impuniti e poco conosciuti è dato dal numero di soggetti presenti nelle carceri italiane: su 62.536 carcerati, solo 230 hanno commesso un crimine da colletto bianco.
In Italia, il crac della Parmalat è stato il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta.
Tale scandalo, venne alla luce solo alla fine del 2003 ma le difficoltà finanziare erano già iniziate agli inizi degli anni Novanta. Lo scandalo ha coinvolto circa 150.000 risparmiatori ed è stato causa di vere e proprie rovine economiche di molte famiglie. Il buco finanziario si aggira intorno ai 14 miliardi di Euro, 7 dei quali riguardano prestiti obbligazionari.
Negli anni ’60 Calisto Tanzi fondò la multinazionale Parmalat. Già negli anni ’90, però, i bilanci della Parmalat vennero falsificati allo scopo di evidenziare una situazione di crescita complessiva della multinazionale, e di nascondere, al contrario, le aree di criticità che stavano emergendo.
Inizialmente, la Parmalat cedeva crediti falsi nei confronti di società riconducibili alla famiglia Tanzi, in cambio di corrispettivi mai ricevuti, oppure con l’iscrizione di falsi ricavi tramite il supporto di falsi contratti. Col passare del tempo, invece, la multinazionale adottò un unico soggetto per attuare le operazioni fittizie: la Bonlat Financing Corporation, un’azienda con sede nelle Isole Cayman che veniva controllata dalla Parmalat.
Nel 2002, però, la Parmalat continuava a chiedere finanziamenti, dichiarando, però, una liquidità che superava i quattro miliardi di euro.
Per questo motivo, la Consob chiese di verificare, ad una società di revisione, l’esistenza delle liquidità. Il risultato di tale verifica fu che il denaro non esisteva. Così, Tanzi venne condannato in primo grado a 18 anni di reclusione.
Le banche che avevano aiutato la multinazionale facendole credito e dandole liquidità attraverso l’emissione di bond. Il ricavato di questi bond veniva utilizzato dalla Parmalat in parte per rimborsare le banche.
Tramite documenti falsi, la Parmalat riusciva ad ottenere dalle società di factoring e dalle banche l’anticipo delle somme fatturate che si aggirava intorno ai quattro miliardi di euro annui.