Appropriazione indebita

Il codice penale italiano raggruppa le diverse tipologie di reati a seconda del bene giuridico tutelato: l’appropriazione indebita è classificato come un reato contro il patrimonio.

Cosa dice l’art. 646 del codice penale sull’appropriazione indebita

L’art. 646 del codice penale disciplina il reato di appropriazione indebita e punisce chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria di denaro o di altra “cosa mobile altrui” di cui abbia il possesso a qualsiasi titolo.

Il tenore letterale della norma recita nel seguente modo: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000.

Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata”.

A seguito delle modifiche apportate alla nuova Legge Anticorruzione del 2018, l’autore di reato viene punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 1.000 euro fino a 3.000 euro.

Per “cosa mobile altrui” si intende qualsiasi oggetto di cui sia possibile la detenzione fisica, la sottrazione o l’impossessamento e che possa essere trasportata da un luogo all’altro, come ad esempio un assegno, il denaro, un’auto, un mobile etc.

Il reato di appropriazione indebita presuppone che il reo sia già in possesso del bene che trattiene nella sua sfera privata come se ne fosse il proprietario.

Facciamo un esempio: se un soggetto possiede una macchina in leasing (di proprietà dell’azienda che gliel’ha noleggiata) e alla risoluzione del contratto non la restituisce, ha commesso un’appropriazione indebita. In tale esempio, l’oggetto si trova nella condizione di possesso – e non di proprietà – di chi se ne appropria indebitamente.

Oppure, pensiamo all’amministratore di condominio che ha i soldi dei condomini sul suo conto corrente e li utilizza indebitamente per pagare la ristrutturazione della sua casa in Sardegna.

Tale reato non deve essere confuso con il reato di furto: in quest’ultimo reato, infatti, l’oggetto non è già nella sfera del possesso di chi se ne appropria con modalità illecite (es. il ladro che apre la cassa di un negozio e preleva furtivamente una somma di denaro).

Gli elementi costitutivi del reato

  • Bene giuridico protetto: il diritto di proprietà. Il possessore del bene attua un abuso poiché dispone di esso come se ne fosse proprietario (uti dominus).
  • Soggetto attivo: chiunque. Si tratta di un reato comune che può essere commesso da “chiunque” purché costui sia nel possesso del bene.
  • Elemento soggettivo: dolo specifico poiché, oltre alla rappresentazione e volontà del fatto tipico, occorre l’ulteriore scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.
  • Elemento oggettivo: La condotta illecita consiste nell’appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui di cui si abbia già il possesso o la detenzione. Si tratta dell’abuso del possessore a danno del proprietario. Il reato presuppone che l’agente sia semplicemente in possesso della cosa. Appropriarsi significa comportarsi verso la cosa come se fosse propria, quindi, compiere atti di disposizione a cui il possessore non è autorizzato.
  • L’appropriazione indebita non può configurarsi con un comportamento omissivo perché il reato necessita sempre di una condotta attiva. Ad esempio, nel caso di ritenzione occorre che vi sia una manifesta volontà di non restituire la cosa, oppure la volontà di nasconderla.

La Cassazione, nella sentenza n. 45298 del 2017, afferma che: “L’appropriazione indebita si verifica nel momento in cui il detentore attua la c.d. interversione del possesso che consiste nell’attuare sul bene di proprietà altrui atti di disposizione uti dominus e, quindi, nell’intenzione di convertire il possesso in proprietà. Tuttavia, la semplice ritenzione del bene, quando origini da una lite civile in cui ognuno dei contendenti fa valere le proprie ragioni nei confronti dell’altro, non costituisce, di per sé, un indice sicuro della volontà di intervertire il possesso e cioè un comportamento uti dominus, potendo, al più, essere qualificato come un mero inadempimento come tale solo civilisticamente sanzionabile.”

  • Oggetto materiale della condotta: denaro o cosa mobile altrui.
  • Consumazione: il reato si consuma nel momento in cui il possessore compie sulla cosa un atto di disposizione che è riservato al proprietario. È un reato istantaneo che si consuma nel momento in cui il soggetto attivo compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come se fosse di sua proprietà.
  • Tentativo: Si ritiene possibile il tentativo di appropriazione indebita. Un soggetto, ad esempio, può essere colto in fragrante mentre sta cercando di vendere una cosa avuta in deposito.

Appropriazione indebita aggravata

Si parla di appropriazione indebita aggravata quando il reato riguarda l’appropriazione di cose possedute a titolo di deposito necessario. In tal caso, la pena prevista è aumentata.

Pensiamo al custode nominato dal Tribunale che si appropria di una cosa sottoposta alla sua cura.

 

Appropriazione indebita prescrizione

Il reato di appropriazione indebita va in prescrizione – senza tener conto delle interruzioni- in sei anni.

L’articolo 157 del c.p. stabilisce che “la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione“.

 

Appropriazione indebita e procedibilità

Appropriazione indebita: quale procedibilità? Il delitto era originariamente procedibile d’ufficio in presenza della circostanza aggravante prevista al 2° co. della norma o di taluna delle circostanze di cui all’art. 61, 1° co., n. 11.

L’art. 10, D.Lgs. 10.4.2018, n. 36, che ha dato attuazione alla delega di cui all’art. 1, 16° co., lett. a) e b), L. 23.6.2017, n. 103, in tema di modifica del regime di procedibilità per alcuni reati contro la persona e contro il patrimonio, ha abrogato la previsione del 3° co. dell’art. 646, così rendendo il delitto di appropriazione indebita sempre perseguibile a querela di parte. Per i fatti perseguibili a querela ai sensi dell’art. 646, 2° co. o aggravati dalle circostanze di cui all’art. 61, 1° co., n. 11, si procede d’ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale (art. 649 bis).

L’art. 12, D.Lgs. 10.4.2018, n. 36 ha previsto che, per i reati prima procedibili d’ufficio e ora divenuti perseguibili a querela e commessi prima dell’entrata in vigore del decreto (9.5.2018), il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente il reato. Se è pendente il procedimento, il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo l’esercizio dell’azione penale, devono informare la persona offesa della facoltà di esercitare il diritto di querela; in questo caso, il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata.

Non è necessario dare avviso alla persona offesa, perché decida se manifestare o non la propria volontà punitiva, quando la stessa si sia costituita parte civile (C., Sez. II, 9.5-23.5.2018, n. 23077).

Ergo, rebus sic stantibus, con la nuova legge si procede a querela della persona offesa, la quale deve presentarla entro tre mesi dal momento in cui è venuta a conoscenza della mancata consegna del bene.

Il 646 c.p. u.c. postulava: “Si procede d’ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel numero 11 dell’articolo 61”.

Ebbene, prima del 9.05.2018, l’appropriazione indebita era perseguibile d’ufficio qualora ricorrevano le circostanze di cui all’art. 61 n.11 (ad esempio: essersi appropriato di una cosa abusando della prestazione d’opera o di coabitazione, abuso di autorità o relazione domestiche, ecc.).

Orbene, come detto, il presente comma è stato abrogato dall’art. 10, D.Lgs. 10.04.2018, n. 36 con decorrenza dal 09.05.2018, il quale ha abrogato la procedibilità d’ufficio nel caso in cui vi fossero le circostanze aggravanti comuni esplicitate nell’art. 61 c.p. n. 11.

Pur tuttavia, rimarrebbe in piedi l’art. 649 bis che stabilisce che: “Per i fatti perseguibili a querela preveduti dagli articoli 640, terzo comma, 640-ter, quarto comma, e per i fatti di cui all’articolo 646, secondo comma, o aggravati dalle circostanze di cui all’articolo 61, primo comma, numero 11, si procede d’ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale”.

Il che significa che il reato sarebbe perseguibile quando sussista, nel caso di specie, una circostanza aggravante ad effetto speciale e, cioè, un’aggravante stabilita dal codice che punisce la condotta con un’aggravante superiore ad 1/3 della pena.

Pensiamo, ad esempio, al caso di un’associazione a delinquere transazionale che si appropria indebitamente di autovetture.

In questo caso, la specifica aggravante di “transnazionalità” prevista dall’art. 4 della L. n. 146/2006 prevede un aumento di pena da un terzo alla metà per tutti quei reati “…nella commissione dei quali abbia dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato”.

In questo caso il reato di appropriazione indebita commesso da quest’associazione criminale, operante a livello transazionale, comporterebbe la procedibilità d’ufficio del reato.

Delega conto corrente

Delega conto corrente e appropriazione indebita. Quando il conto corrente è cointestato e sussiste un’autorizzazione nei confronti di ciascuno dei contitolari ad effettuare operazioni separatamente, vige l’obbligo di rispettare determinate regole per i prelievi, altrimenti si corre il rischio di incorrere in un illecito di natura civile e, addirittura, di essere accusati di appropriazione indebita.

La Corte di Cassazione, sezione II, nella sentenza del 30 aprile 2010 n. n. 16655 spiega che, commette il reato di appropriazione indebita uno dei contitolari del conto corrente cointestato, a firma disgiunta, qualora prelevi, senza consenso degli altri, una somma superiore alla sua quota per disporne secondo proprie finalità:

“È configurabile il reato di appropriazione indebita a carico del cointestatario di un conto corrente bancario il quale, pur se facoltizzato a compiere operazioni separatamente, disponga in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, della somma in deposito in misura eccedente la quota parte da considerarsi di sua pertinenza, in base al criterio stabilito dagli artt. 1298 e 1854 cod. civ ., secondo cui le parti di ciascun concreditore solidale si presumono, fino a prova contraria, uguali”.

L’utilizzo del conto corrente cointestato, in assenza di consenso da parte degli altri contitolari, è consentito solo nei limiti delle rispettive quote di proprietà.

Facciamo un esempio: nel caso di un conto corrente intestato ai due coniugi in regime di separazione dei beni, si presume che ciascuno di essi sia proprietario del 50% del denaro sul conto, salvo che venga dimostrato che la somma è stata realizzata solo grazie ai versamenti dell’uno, mentre la delega al prelievo dell’altro è stata concessa per altre finalità (ad esempio pagamento utenze).

Il cointestatario che preleva una somma di denaro oltre al tetto massimo, dovrà restituire i soldi all’altro contitolare ma, allo stesso tempo, risponderà anche del reato di appropriazione indebita.

Cosa dice l’art.646 codice penale su appropriazione indebita?

L’art. 646 c.p., prima dell’ultimo intervento normativo (art. 1, 1° co., lett. u, L. 9.1.2019, n. 3, a decorrere dal 31 gennaio 2019) puniva il soggetto accusato di appropriazione indebita con la reclusione fino a tre anni e con la multa di 1.032 euro.

Ora, invece, l’autore di reato viene punito con la reclusione da due a cinque anni e con una multa da euro 1.000 a euro 3.000,

Il testo normativo così recita: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro mille a euro tremila. Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.”

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