Una premessa è d’obbligo. E la metto giù in maniera netta e decisa. Molte persone patiscono l’ingiustizia di una carcerazione prima di un processo che è assolutamente inutile e molte volte anche illegittima.

Devi sapere che quando parte un’inchiesta o un’indagine, spesso, agli indagati vengono applicate misure restrittive, come la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari.

A volte, come detto poc’anzi, queste misure sono ingiuste perché in concreto non esistono le c.d. esigenze cautelari (vedremo da qui a poco cosa sono).

In questo momento devi comprendere che dovrebbe prevalere la presunzione di innocenza e quindi la carcerazione dovrebbe essere utilizzata per extrema ratio.

In realtà così non è.

È notorio che in Italia vi è un abuso della carcerazione preventiva (ricordi il famoso messaggio di fine anno dell’ex Presidente della Repubblica Scalfaro sul tintinnar di manette?).

A volte la carcerazione viene compiuta per determinare una pressione psicologica dell’indagato e per tenerlo in ammollo affinché si ammorbidisca (ma lasciamo perdere altrimenti finiamo “fuori tema”).

Domanda: ma quando il magistrato può disporre la carcerazione prima della celebrazione del processo?

Allora prima di tutto, a norma dell’art. 273 c.p.p.: “Nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza”.

Questo significa che il quadro investigativo deve vedere degli indizi solidi, forti, che fanno comprendere che il quadro indiziario, in una parola, è serio e non campato in aria (anche se poi alla fine del processi si scopre che non è così, tanto che lo stato deve risarcire per ingiusta detenzione chi ha subito indebitamente una carcerazione illegittima).

Ma non basta. Occorrono le esigenze cautelari. Vale a dire delle esigenze concrete che giustificano la limitazione della libertà prima del processo.

L’art. 274 c.p.p. stabilisce che la carcerazione può avvenire quando:

  1. L’indagato può ripetere nuovamente il reato
  2. L’indagato può inquinare le prove
  3. L’indagato può darsi alla fuga

Devi assolutamente sapere che queste misure devono essere adeguate e proporzionate alla gravità del reato.

Infatti, ascolta bene questo passaggio, per esempio, il Giudice non può limitare la libertà personale dell’indagato quando, in via presuntiva, potrebbe applicare la sospensione condizionale della pena.

Domanda: in questa fase qual è il compito dell’avvocato penalista?

Ebbene, tra i compiti dell’avvocato penalista c’è anche quello di segnalare l’eventuale inadeguatezza o eccessiva severità di tali misure al fine di ottenere la SCARCERAZIONE DELL’INDAGATO O IMPUTATO.

ERGO, QUAL è LA MISSION?

PORTARE A CASA LA PERSONA E NON FARLA MARCIRE IN GALERA.

Come farlo? Semplice o contestando la misura al Giudice per le indagini preliminari oppure, se questa istanza non dovesse “andare in porto”, riproponendo la richiesta innanzi al Tribunale della Libertà.

Sul punto volevo parlarti del caso di un mio cliente. Un professore di musica.

Un giorno che non dimenticherà facilmente venne a sapere di essere indagato per un reato molto grave: abuso sessuale di numerose sue allieve minorenni.

Di lì a poco fu arrestato e portato in carcere. Il mondo gli crollò addosso. La sua famiglia, il suo lavoro, la sua vera passione, ovvero la musica, tutto sembrava essere andato in frantumi.

Mi convinsi che la detenzione in carcere per il maestro, ormai non più nel fiore degli anni, fosse eccessiva, con effetti esacerbanti e deprimenti (era sul punto di tentare il suicidio).

Così iniziai la mia lotta per ottenere, anzitutto, la sua scarcerazione.

Il Tribunale delle Libertà accolse le mie richieste e decise che poteva tornare a casa dalla sua famiglia in condizioni di arresti domiciliari.

Ti ho raccontato questa storia per dimostrarti che, anche nei momenti più bui, non bisogna mai perdere la speranza e smettere di lottare per far valere le proprie ragioni.

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Avv. Francesco D’Andria

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