Corruzione propriaLa corruzione propria trova la propria disciplina nell’art. 319 c.p., rubricato corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio. Si tratta di una categorizzazione vigente prima della riforma operata dalla L. 190/2012.

La corruzione propria punisce con la reclusione da sei a dieci anni la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, per omettere o ritardare, oppure per aver omesso o ritardato atti del suo ufficio, o per commettere o aver compiuto atti contrari a doveri d’ufficio, riceve per sé o per un terzo oppure accetta la promessa di una somma di denaro o altre utilità.

Ricordati, però, che è punito anche il privato che dà o promette denaro o utilità al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio.

In caso di condanna, è prevista l’applicazione della pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la P.A., ai sensi dell’art. 32 quater c.p.

Ad esempio, Tizio, controllore, durante il controllo dei biglietti sul treno, rileva che Caia è sprovvista di titolo di viaggio. Quest’ultima, in cambio dell’omissione da parte del pubblico funzionario, dell’accertamento dell’infrazione, promette al predetto una prestazione sessuale.

Corruzione propria e impropria: come si definisce

Corruzione propria e impropriaPrima della riforma operata dalla L. 190/2012 la corruzione era stata categorizzata in due tipologie: la corruzione propria e la corruzione impropria.

La prima è disciplinata dall’art. 319 c.p., rubricato corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, e punisce con la reclusione da sei a dieci anni la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, per omettere o ritardare, oppure per aver omesso o ritardato atti del suo ufficio, o per commettere o aver compiuto atti contrari a doveri d’ufficio, riceve per sé o per un terzo oppure accetta la promessa di una somma di denaro o altre utilità.

La seconda, invece, rubricata corruzione per l’esercizio della funzione, trova la sua disciplina nell’art. 318 c.p., che punisce con la reclusione da tre a otto anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve o accetta la promessa per sé o per un terzo di una somma di denaro o altre utilità. Tale norma è stata modificata, da ultimo, dalla L. 3/2019 (Legge Spazzacorrotti), di modifica dei reati di corruzione.

Rappresenta un esempio di corruzione impropria, ai sensi dell’art. 318 c.p., l’Agente di Polizia che per redigere una denuncia-querela riceve 2.000 euro.

Corruzione passiva propria: come si definisce?

PassivaLa corruzione passiva propria è prevista e punita dall’art. 319 c.p.

Essa subisce una doppia categorizzazione: è passiva perché il soggetto preso in considerazione è il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio); è propria, poi, se si guarda alla tipologia di condotta posta in essere dal soggetto agente.

Quindi, combinando i due fattori, si ha corruzione passiva propria quando il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio) riceve per sé o per un terzo denaro o altre utilità o ne accetta la promessa, al fine di omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, oppure per compiere o aver compiuto un atto contrario ai doveri d’ufficio. In tal caso, la pena prevista per il pubblico funzionario è la pena della reclusione da sei a dieci anni.

Devono sussistere, pertanto, una serie di elementi affinché la fattispecie di corruzione passiva propria venga ad esistenza:

  • l’accordo tra il pubblico funzionario e il privato;
  • la dazione o la promessa di denaro o altre utilità e la rispettiva ricezione o accettazione;
  • la condotta consistente nell’omissione o ritardo (anche già avvenuti) di un atto relativo all’ufficio esercitato dal pubblico funzionario oppure la condotta consistente nel compimento (anche già verificatosi) di un atto contrario ai doveri d’ufficio.

La differenza tra le due fattispecie di reato

Come possiamo notare mentre la prima fattispecie (corruzione per l’esercizio della funzione) riguarda il fatto che il P.U. pone in essere, dietro un’elargizione di reato o altra utilità, di una atto che avviene nell’esercizio delle sue funzioni (per protocollare una pratica o mettere un timbro pretende un obolo in denaro); nel secondo caso (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio) il P.U. ritarda o realizza un atto contro i suoi poteri in cambio di denaro o altra utilità (il pubblico ufficiale trucca la gara d’appalto per favorire un’impresa amica).

Da qui la differenza della pena edittale che vede una pena più grave per la seconda fattispecie di reato. 

Ci sono anche tanti altri argomenti che puoi leggere, come ad esempio: istigazione alla corruzione, reati di corruzione, e corruzione e prescrizione.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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