COS’È?

Amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori possono essere indagati per il reato di false comunicazioni sociali, detto anche reato di “falso in bilancio”, qualora si sospetta o qualcuno li accusa di aver trasmesso false comunicazioni sociali relative alla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società.

Le comunicazioni sociali sono i bilanci, le relazioni e gli altri documenti informativi previsti dalla legge, diretti ai soci o al pubblico.

Come noto, il bilancio di un’azienda è composto di dati cosiddetti “oggettivi”, riferibili cioè a valori numerici pressoché assoluti desumibili dalla fattualità, e da dati detti “di stima”, che dipendono cioè da valutazioni.

La falsità può quindi essere “materiale”, se riguarda dati oggettivi, in valutando, se riguarda valutazioni.

Ancora, si commette falso in bilancio se si omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge.

Facciamo un paio di esempi.

Il dirigente d’azienda che, nel redigere il bilancio, gonfia il passivo al fine, ad esempio, di pagare tangenti con la differenza tra passivo reale e passivo indicato nel bilancio, commette il reato di falso in bilancio.

Ancora, può capitare che per invogliare i potenziali investitori, venga indicato, nel bilancio, un attivo superiore a quello effettivo. Anche il questo caso ci troviamo di fronte a un’ipotesi di falso in bilancio.

 

COSA RISCHIO?

Quando la società non è quotata la pena prevista è la reclusione da 1 a 5 anni, salvo che il fatto sia di lieve entità, in tal caso la pena va dai 6 mesi ai 3 anni.

Se la società è quotata è prevista la reclusione da 3 a 8 anni.

Il 21 maggio 2015, infatti, è stato approvato un disegno di legge che prevede, sinteticamente, le seguenti innovazioni:

1) il falso in bilancio è diventato sempre punibile d’ufficio, ciò significo che non è necessaria la querela di un privato;

2) non sono più previste soglie di non punibilità, quindi, anche quando le falsità o le omissioni determinano variazioni lievi del risultato economico o del patrimonio netto, il fatto costituisce reato.

 

COME POSSO AIUTARTI?

Il mio ruolo è fondamentale.

Lo studio potrà ad esempio, provare che il suo assistito non ha trasmesso comunicazioni false “con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico, al fine di conseguire per sè o per altri un ingiusto profitto”, come prevedono le norme incriminatrici, ma per distrazione, e, quindi, non va condannato.

Oppure il difensore potrà provare che le falsità non hanno provocato un’alterazione sensibile, e che, quindi, manca l’offensività e, di conseguenza, l’imputato va assolto.

Ancora, provando che il fatto è tenue, potrà ottenere una pena ridotta e la sospensione condizionale di detta pena.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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