L’ASSOCIAZIONE MAFIOSA

Quando si realizza il reato di associazione di stampo mafioso?

 

Spesso, davanti a un caffè tra amici, si commenta l’illecito del giorno affermando: “E’ tutta una mafia”.

Non è sempre così: a volte la parola MAFIA è soltanto un luogo comune.

La MAFIA o, più correttamente, l’associazione mafiosa, non esiste.

Chiariamo meglio quest’affermazione!

 

Il caso Mafia Capitale

In alcune vicende giudiziarie, la MAFIA non esiste.

Si fa riferimento al caso Mafia Capitale, cioè il celebre processo contro Massimo Carminati, ex esponente del Nucleo Armato Rivoluzionario (noto per essere stato raccontato in Romanzo Criminale e in Suburra, rispettivamente con i nomi del “Nero” e il “Samurai”) e altri esponenti politici e istituzionali che, secondo la Procura di Roma, avrebbero creato un sodalizio mafioso finalizzato all’ottenimento di appalti nel Comune di Roma.

Procediamo con ordine.

Quando si configura il reato di associazione mafiosa?

L’associazione di tipo mafioso è incardinata su tre elementi essenziali:

  1. la forza di intimidazione;
  2. la condizione di assoggettamento;
  3. la condizione di omertà.

La forza di intimidazione

Per “forza di intimidazione” si intende quella “fama criminale” consolidata nel tempo (es. io sono un ex della Banda della Magliana “me devi rispetto”) che induce la vittima ad un assoggettamento (es. Ti pago il pizzo) e altresì ad una condizione di omertà (es. “Nulla ho visto, nulla saccio commissà”).

La consorteria mafiosa, sulla base di quest’alone criminale, di quest’assoggettamento, di questa omertà, ha un unico scopo: acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, concessioni, autorizzazioni e appalti.

In altre parole, l’organizzazione di stampo mafioso persegue in via prevalente la finalità di controllare il territorio.

Attenzione: non sempre, però, fenomeni criminali corrispondono ad associazioni mafiose.

 

Le due tesi di Mafia Capitale

È il caso, appunto, di Mafia Capitale in cui si fronteggiavano due tesi contrapposte.

Secondo la Procura, avvalendosi del loro passato criminale (banda della Magliana, terrorismo nero, ecc.), Massimo Carminati ed altri avevano creato un’associazione che intimidiva, assoggettava e riduceva all’omertà amministratori pubblici, politici, ecc.

Secondo la Difesa, invece, era stato proprio il passato criminale di Massimo Carminati a suggestionare la Procura che aveva illegittimamente formulato il capo d’imputazione di associazione mafiosa.

 

Il maxiprocesso

Ebbene, dopo un vero e proprio maxiprocesso, il Tribunale di Roma ha condiviso la linea della Difesa ritenendo che, nel caso di specie, non vi fosse Mafia, ma comune criminalità.

Non vi era MAFIA CAPITALE, ma, al limite, MAZZETTA CAPITALE.

Dal processo di Mafia Capitale può trarsi un importante insegnamento: i teoremi delle Procure devono essere contrastati in dibattimento quando questi siano infondati e pretestuosi.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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