COS’È?
IL 2 aprile 2015 è entrato in vigore il D. Lgs. 16 marzo 2015 n. 28, che ha introdotto nel nostro ordinamento, all’art. 131-bis del codice di rito, una nuova causa di non punibilità che opera in caso di “particolare tenuità del fatto”.
In poche parole, chi commette alcuni tipi di reato, se il fatto è particolarmente tenue, non verrà condannato.
Vediamo schematicamente quali sono le condizioni in presenza delle quali è possibile evitare la condanna.
1) il reato non deve essere “grave”, ossia deve essere prevista, per quel reato, o una pena pecuniaria o una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, anche congiunta a una pena pecuniaria;
2) l’offesa deve essere particolarmente tenue, in considerazione delle modalità della condotta e dell’esiguità del danno o del pericolo cagionato;
3) il comportamento deve risultare non abituale, cioè l’imputato non deve avere già commesso altri reati della stessa indole.
COSA RISCHIO?
Non chiedere che la tenuità del fatto venga rilevata significa precludersi un’importante opportunità di evitare la condanna.
È molto importante, invece, se sembrano ricorrere i requisiti che abbiamo detto, che il difensore chieda l’applicazione dell’istituto in parola.
È bene ricordare che la causa di non punibilità può essere rilevata in qualsiasi grado o fase del procedimento.
1) nella fase delle indagini preliminari può rilevarla il Pubblico Ministero, richiedendo l’archiviazione per particolare tenuità del fatto;
2) nella fase dell’udienza preliminare il GUP può pronunciare sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 425, comma 1, c.p.p., per particolare tenuità del fatto; 3) al termine del dibattimento, il Giudice può pronunciare sentenza di non doversi procedere, ai sensi dell’art. 529 c.p.p., per particolare tenuità del fatto;
4) in un giudizio di legittimità, la Corte di Cassazione potrà annullare la sentenza di merito che non abbia applicato il nuovo istituto rinviando al giudice del merito affinché valuti se dichiarare il fatto non punibile.
Ti ricordo, infine, che, trattandosi di una disciplina di carattere sostanziale favorevole al reo, ai sensi dell’art. 25, comma 2, Cost. e dell’art. 2 c.p., è dotata di retroattività, quindi, si applica anche nei procedimenti pendenti il giorno dell’entrata in vigore della legge (2 aprile 2015), purché non ancora definiti con sentenza passata in giudicato.
COME POSSO AIUTARTI?
Il mio ruolo è fondamentale.
La causa di non punibilità di cui ti ho parlato non comporta l’esclusione automatica della condanna, ma spetterà al giudice decidere, con valutazione in concreto caso per caso, se applicarla.
Toccherà quindi a me dimostrare al giudice che nel caso del mio assistito ricorrono tutti i requisiti che ho elencato e che, quindi, non deve essere condannato.
Ad esempio, dovrò passare attentamente in rassegna natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e modalità dell’azione criminosa.
Inoltre addurrò prove della ridotta gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa.
Ancora, dimostrerò, dati alla mano, che il comportamento tenuto non è affatto abituale, ma è isolato e non in linea con la personalità del mio cliente.