Cosa sono le attenuanti generiche?
Quando vengono concesse? Quando possono essere non concesse?
In caso di condanna e quindi d’irrogazione della pena di giustizia, potrebbero essere concesse le circostanze attenuanti generiche.
Queste sono molto importanti perché costituiscono un vero e proprio “sconto di pena”.
Ma a quanto ammonta questo sconto di pena?
Lo sconto di pena è pari ad 1/3, che andrà applicato alla pena che in concreto ti viene comminata dal Giudice.
Esempio:
Condanna: 3 anni di reclusione – 1/3 per la concessione delle circostanze generiche (che è di 1 anno di reclusione) = 2 anni di reclusione.
In cosa consistono le circostanze attenuanti generiche?
Queste attenuanti, previste dall’art. 62 bis c.p., sono delle circostanze il cui contenuto specifico non è stato tipizzato espressamente dal Legislatore.
In tal caso il Giudice potrà applicare una circostanza a seconda delle peculiarità del caso concreto.
Nella prassi processuale le circostanze generiche possono essere concesse per:
- “lealtà processuale dell’imputato”;
- risarcimento del danno, anche parziale, cagionato alla P.O.;
- buona condotta post factum, ossia una condotta positiva compiuta dopo aver commesso il reato.
Ma sfatiamo subito un falso mito.
Lo stato di incensurato, cioè l’avere la fedina penale immacolata, non legittima la concessione in automatico della circostanza attenuante.
Il legislatore nel III comma dell’art. 62 bis c.p. stabilisce apertis verbis che l’assenza di precedenti penali non possa essere posta a fondamento della concessione delle attenuanti generiche.
In altre parole, il Legislatore dice: “Il fatto di avere il casellario giudiziale senza macchia non ti dà diritto ad una medaglia al valore”.
Ma il giudice può rifiutarsi di concedere le attenuanti generiche?
Sì può farlo.
L’argomento è molto importante. Nel prosieguo faremo riferimento a diversi casi che, purtroppo, sovente si verificano nelle aule di giustizia.
In altri precedenti articoli abbiamo evidenziato che l’imputato può avvalersi della facoltà di non rispondere (c.d. diritto al silenzio).
La Cassazione ha stabilito che, qualora l’imputato si sia avvalso della “facoltà di non rispondere”, il Giudice non possa fondare il diniego della concessione dell’attenuante in parola a causa dell’esercizio del diritto al silenzio da parte dell’imputato.
È chiaro che in sentenza non si troverà mai scritto:
“il Giudice non concede l’attenuante perché la persona si è avvalsa della facoltà di non rispondere”; bensì si potrà trovare una formulazione letterale di questo tenore: “Non sono concesse le attenuanti generiche perché l’imputato non ha dimostrato segni di resipiscenza, ossia di pentimento”.
Chiaramente è una contraddizione in termini: se l’imputato si è professato innocente come poteva manifestare segni di resipiscenza?
Ergo: se non ha manifestato segni di resipiscenza è perché lui si era professato innocente!
Come vedete questo è un ragionamento tautologico, ossia, in parole semplici, “un cane che si morde la coda”.
Verificatasi una situazione di tal fatta, il Difensore deve dare battaglia perché il ragionamento è assolutamente illogico.
Cosa dice la Cassazione?
Sul punto si è espressa la Cassazione nella sentenza di cui si riporta uno stralcio qui sotto.
Il giudice di legittimità ha stabilito che la protesta d’innocenza, anche di fronte ad evidenti prove di colpevolezza, non legittima il Giudice a negare le attenuanti generiche soltanto perché l’imputato non ha confessato di aver commesso il fatto.
“La protesta d’innocenza, pur di fronte all’evidenza delle prove di colpevolezza, non può essere assunta, da sola, come elemento decisivo sfavorevole alla concessione stessa, non esistendo nel vigente ordinamento un principio giuridico per cui le attenuanti generiche debbano essere negate all’imputato che non confessi di aver commesso il fatto, quale che sia l’efficacia delle prove di reità (Cass., Sez. III, Sent. 28 dicembre 2015 n. 50565).
Tutto questo ci insegna a fare attenzione a cosa scrive il giudice in sentenza: se è errato lo si dovrà eccepire in appello attraverso il Difensore.