Ciao quest’articolo ha un titolo molto forte, ossia: “Come si fa ad essere assolto?” (ovviamente in un processo penale).
Ecco, perdonami per questo titolo ALTISONANTE, ma l’ho fatto soltanto perché lo ritenevo molto stimolante e SUGGESTIVO.
È chiaro che non esistono formule magiche né postulati da seguire alla lettera per AVERE CON CERTEZZA MATEMATICA L’ASSOLUZIONE.
Tutto si basa su variabili che non sono preventivabili.
Io dico sempre che non ci sono regole ferree per vincere un processo, o più correttamente per dimostrare l’innocenza di un mio assistito.
Tutto è imprevedibile.
Insomma, in poche parole, noi avvocati non possiamo postulare un vademecum per vincere processi perché non facciamo matematica.
Il processo penale è un po’ come la filosofia Zen, ossia 1+1 non fa 2…fa 11.
Fa 11 perché è tutto soggettivo.
PERCHé PER DEFINIZIONE IL PROCESSO PENALE viene giudicato da un giudice che giustappunto giudica in base al suo libero convincimento e al suo prudente apprezzamento (tanto per citare qualche formula di rito).
Non conta soltanto il caso concreto e quello che si può provare e quello che non si può provare ma anche la forza dei personaggi.
Ad esempio pensiamo all’imputato: ineluttabilmente il processo cambierà se si tratta di un imputato: bello o brutto; istruito o analfabeta; giovane o anziano; pacato o iroso. Contano in maniera determinante la persona offesa dal reato o i testimoni che si portano in giudizio.
Pensiamo ad una persona offesa che aveva una grave inimicizia nei confronti dell’imputato o testimoni con precedenti penali (magari con un precedente per falsa testimonianza!).
E poi il Giudice con il suo bagaglio ideologico, culturale, politico e giuridico (e anche diciamolo se è in quella giornata dell’umore giusto).
E infine, dulcis in fundo, l’Avvocato che Ti difende.
SINTONIZZARSI SULLA FREQUENZA DEL GIUDICE.
Non dimentico mai un principio universale che ho imparato dall’esperienza.
Dietro una toga c’è sempre una persona. Un uomo e una donna. Una persona con le nostre stesse paure, ambizioni, sogni, sentimenti buoni e cattivi.
Bisogna capire quella persona e far sì che per un attimo quella persona, quel Giudice, si impersoni nella storia di quell’imputato.
C’è una frase molto bella di uno scrittore americano che recita: “La bravura dell’avvocato sta nel rendere il Giudice uguale al suo cliente”.
Cosa significa?
È molto semplice. Significa che bisogna creare un processo empatico tra il Giudice e l’imputato.
Cercare di creare un “ponte” tra il Giudicante e il Giudicato e far sì che il GIUDICANTE POSSA VEDERE LA VICENDA PROCESSUALE CON GLI OCCHI DEL GIUDICATO.
IN POCHE PAROLE IL GIUDICE DOVRA’ IMPERSONARSI NELL’IMPUTATO, SOLO COSì POTRà COMPRENDERE LE SUE RAGIONI.
Ti faccio un esempio.
Fase d’indagine. Un mio cliente viene accusato di reati molto gravi. Il P.M. chiede la carcerazione preventiva. Il Giudice per le indagini preliminare autorizza l’arresto e il periodo di reclusione prima del processo.
Faccio istanza al tribunale del Riesame. Scarcerato. Perché? Ti do la mia interpretazione (non sono nella testa del Giudice!).
Quel giorno dissi al mio assistito che doveva rendere delle dichiarazioni. E raccontare, attraverso brevi flash, la sua vita in carcere. Lui lo fece. Lui era un professionista: distinto, carattere mite, modi eleganti.
Disse, con grande dignità e sobrietà, che non riusciva più a stare in carcere a sopportare umiliazioni, botte, abitudini e discorsi di persone lontane da lui.
Il Presidente di quel Tribunale aveva la sua stessa età e forse gli somigliava: distinti, carattere mite, modi eleganti.
Vidi come lo guardava, come lo scrutava, mi sembrò di leggere i suoi pensieri e le sue parole: “Quella persona potrei essere io”.
Avevamo creato quell’empatia, quell’emozione, quella vicinanza, che FORSE (POI CHISSà) MI AIUTO’ A PORTARLO A CASA.
***
Bene, dopo aver parlato del lato emozionale passiamo all’aspetto pratico. Riprendendo il filo del discorso, possiamo dire che, seppure non esistono leggi scientifiche o formule esoteriche per vincere un processo penale, esistono delle regole del processo che possono aiutarti e che Tu devi conoscere.
- Prima regola: il controesame dei testi dell’accusa.
Allora, preliminarmente occorre dire che la Pubblica Accusa deve ricostruire la vicenda processuale. E come lo farà? Esaminando i suoi testimoni. Coloro che hanno assistito ai fatti di causa.
Esempio, processo per furto in un supermarket.
Il personale antitaccheggio (testimone) dichiara di aver visto l’imputato essere uscito dall’esercizio commerciale con delle bustine di zafferano sotto il maglione senza “passare per la cassa”.
Bene, Prima di parlarti del controesame però devo dirti che l’avvocato difensore, durante l’esame del Pubblico Ministero non deve dormire o farsi i fatti suoi, ma deve opporsi alle domande del P.M. qualora dette domande fossero suggestive (cosa che ti posso assicurare capita sovente).
Cosa significa domanda suggestiva?
Significa semplicemente che l’Accusa non può fare al suo testimone domande che suggeriscono la risposta. Altrimenti sarebbe troppo facile.
Pensiamo ad un processo per rapina volto ad identificare una persona.
Sarebbe pratica scorretta se il Pubblico Ministero chiedesse a un teste: “Lei ricorda se il signor X quel giorno aveva una cravatta rossa?”. Domanda suggestiva.
In questo caso il Difensore deve opporsi per evitare che il P.M. imbecchi le domande al teste portando “l’acqua al suo mulino”.
Il controesame.
Cosa di grande importanza per un Difensore è il momento del controesame.
E cioè il momento di controesaminare i testimoni dell’accusa per saggiare l’attendibilità del teste, ossia, detto “terra terra”, se dicono il vero o il falso.
Quindi cercare di capire se la persona dice il falso perché non si ricorda (quindi testimone inattendibile); oppure perché mente sapendo di mentire (quindi testimone falso).
Facciamo un esempio di testimone falso.
Pensiamo ad un testimone che abbia una grave inimicizia nei confronti dell’imputato.
Ad esempio a me è capitato un processo per violenza sessuale in cui un parente era stato chiamato in Tribunale a deporre contro lo zio imputato.
La sua testimonianza però era stata guardata con sospetto dal Collegio dopo che il sottoscritto, appunto in sede di controesame, avevo fatto rilevare ai Giudici che quel testimone aveva avuto una pregressa e “sanguinosa” causa ereditaria contro l’imputato (e che l’aveva anche persa).
Morale della favola: teste con “il dente avvelenato” e quindi la sua testimonianza assolutamente inattendibile.
- Seconda regola: la partecipazione e la deposizione dell’imputato.
Prima di tutto io consiglio sempre che l’imputato partecipi a tutte le udienze del processo.
La presenza dell’imputato è di grande importanza perché fa capire al Giudice che TU IMPUTATO sei una persona seria, che non scappa, che non fa la latitanza come Paranza di Daniele Silvestri, ma che ci mette “la faccia” per dimostrare di essere innocente.
Ancora, nel processo chiedo sempre l’interrogatorio dell’imputato.
Quindi ti consiglio sempre di chiedere l’interrogatorio al fine di spiegare la tua verità. Oppure se l’interrogatorio potrebbe dimostrarsi rischioso perché potresti innervosirti, oppure sei ansioso e potresti avere crisi di panico, allora ti consiglio di fare le c.d. “spontanee dichiarazioni”.
Le “spontanee dichiarazioni” non sono altro che un monologo dell’imputato che potrà spiegare le sue ragioni senza che nessuno possa fare domande.
Tutto questo perché?
Tutto questo per fare in modo che la “voce” del protagonista del processo si levi con forza e riesca a fare breccia nella mente e nel cuore del Giudice.
- Terza regola: La scelta dei testimoni.
I testimoni devono essere i soldati della verità processuale dell’imputato al fine di dimostrare la verità alternativa.
Ergo, ricostruire la vicenda processuale dalla parte dell’imputato.
Ad esempio in un processo per stalking e violenza sessuale i miei testimoni hanno riferito in udienza che anche dopo il periodo in cui la presunta persona offesa diceva di essere stata violentata sessualmente dall’imputato ella si vedeva con lo stesso suo violentatore.
La ragione di tutto questo era dimostrare che non era vero che la persona offesa era stata violentata visto che c’erano persona che asserivano che i due avevano una frequentazione anche dopo il giorno della presunta violenza.
È inutile dire che i testimoni devono non soltanto dire la verità ma presentarsi anche bene perché non è importante soltanto quello che si dice ma come lo si dice.
Quarta e ultima regola: l’arringa.
L’arringa è la discussione finale dell’avvocato il quale, dopo aver raccolto in una operazione di sintesi gli elementi probatori che si sono venuti a costituire nel corso del processo penale, reinterpreta quello che si è verificato nel processo alla luce della sua ottica o punto di vista.
Oggi si dice che l’arringa non sia più importante come un tempo.
Beh io credo che non sia così.
L’arringa è il momento principale per mettere ordine a quello che si è fatto durante il processo e suggerisce al Giudice la decisione.
Se non credessi in questo principio non farei questo lavoro.
Posso assicurarti che non è un mio pensiero ma un Giudice della Corte d’Appello di Milano in un convegno pubblico ha espressamente dichiarato che molte volte, dopo essersi fatto una certa idea su un processo, dopo l’arringa di un difensore ha cambiato idea.
Quindi massima attenzione per l’arringa difensiva. Il difensore deve toccare le corde del Giudice sia quelle razionali che quelle emozionali!
Bene, parlando dell’arringa non posso concludere se non con le parole di Alfredo De Marsico, grandissimo, che sull’arringa esprime il seguente pensiero.
Scrive De Marsico:
“Ciò che importa nell’arringa, non è né la bellezza della voce né l’eleganza della frase, ma l’efficacia del dimostrare e del persuadere: il trapasso cioè di una tesi dall’ombra in cui è sepolta allo splendore dell’evidenza.
E ancora:
Di qui, la condanna delle fredde, remote preparazioni a tavolino; di qui, l’indispensabile necessità che l’avvocato resti nel dibattimento quel che è il marinaio sotto la vela: la spia del vento. La rotta di un avvocato è la più difficile delle navigazioni, perché si svolge fra correnti d’anima, le più invisibili e mutevoli di tutte le correnti. Solo quella dell’uomo politico le somiglia e la supera.
L’attore, a cui tanti identificano l’avvocato, non gli si approssima neppure, perché l’attore è strumento di espressione di un personaggio o di una situazione, che altri ha ideato e congegnata, e che non vivono fuori della finzione; mentre l’avvocato deve essere lo scopritore della realtà, ed imporla ai giudici.
E infine…
L’avvocato è pari alla sua causa se sa dare alla verità il volto della sua opinione ed alla sua opinione il rilievo della verità. Avvocato è solo chi sa possedere la verità, cioè chi sa stanarla dalla miniera delle cose oscure e confuse. Gli altri saranno, al massimo, i sapienti dell’artificio.
Alfredo De Marsico
Concludendo, dunque, ABBIAMO DUE BLOCCHI DI REGOLE DA SEGUIRE:
LA PRIMA EMOZIONALE: SINTONIZZARSI SULLA FREQUENZA RADIO DEL GIUDICE.
LA SECONDA DI TIPO PRATICO:
- CONTROESAME DEI TESTI AL FINE DI DIMOSTRARE CHE I TESTI DELL’ACCUSA SONO INATTENFIBILI O FALSI;
- INTERROGATORIO DELL’IMPUTATO AFFINCHE’ L’IMPUTATO RIFERISCA LA SUA VERSIONE DEI FATTI;
- ESAME DEI TESTIMONI DELLA DIFESA CHE METTANO IN RISALTO LA VERITà ALTERNATIVA.
- L’ARRINGA DEL DIFENSORE.