“I maltrattamenti in famiglia stanno diventando un’arma di ritorsione per i contenziosi civili durante le separazioni”: era questo l’incipit di un articolo risalente all’ormai lontano 2012, nel quale si riportavano le dichiarazioni della Dott.ssa Carmen Pugliese, PM del pool della Procura di Bergamo specializzato in reati sessuali e familiari.

Ebbene, già otto anni fa le denunce per il reato di maltrattamenti in famiglia erano in numero esponenziale e, secondo i dati forniti, solo in 2 casi su 10 si trattava di casi reali, dal momento che il resto erano querele presentate al solo scopo di ricattare i mariti nel corso della separazione.

La riprova era data dal fatto che, una volta ottenute le migliori condizioni, le denuncianti si recavano in Procura per chiedere di ritirare la denuncia.

Poche le indagini che sfociavano in un procedimento e poi in una condanna, anche perché spesso il racconto iniziale veniva ridimensionato nel corso del processo.

La più recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 2326/14, affrontava proprio il tema delle denunce “gonfiate” per evitare l’addebito della separazione. 

Si trattava del caso in cui l’indagato in seguito alla denuncia della moglie veniva attinto dalla misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento e comunicazione con i familiari. Il predetto impugnava il provvedimento dinanzi al Tribunale del Riesame, contestando la riconducibilità delle condotte ascrittegli al delitto di cui all’art. 572 c.p. La motivazione addotta faceva riferimento alla strumentalità della denuncia, sporta dalla coniuge per ottenere condizioni di separazione vantaggiose, posto mesi prima rispetto alla querela, scoperti i tradimenti, l’indagato le aveva chiesto la separazione.

Il Tribunale del Riesame rigettava il ricorso, omettendo la valutazione delle prove allegate dalla difesa. Si proponeva quindi ricorso in Cassazione che, valutate le prove a discarico, accoglieva le doglianze, ritenendo che il reato di maltrattamenti in famiglia non dovesse ritenersi integrato in ragione della mancanza dell’elemento dell’unitarietà delle condotte. Piuttosto, i reati configurabili erano quelli di minacce, ingiuria e lesioni.

Tale pronuncia era volta ad evitare che le denunce verso il coniuge diventassero un escamotage processuale per evitare l’addebito della separazione al denunciante o una mera vendetta nei confronti dell’altro.

Ovviamente le false denunce non sono prive di conseguenze perché spesso le denuncianti sono state accusate a loro volta di calunnia.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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