LA BANCAROTTA E LA TESTA DI LEGNO

Una società fallisce.
Secondo la Pubblica Accusa l’amministratore della società era un prestanome, una testa di legno.
Nell’ombra agiva un’eminenza grigia, ossia un amministratore di fatto.
Era lui il grande burattinaio che muova i fili dell’azienda.
Domanda: Chi sarà responsabile delle condotte illecite che hanno causato il fallimento? L’amministratore di diritto o quello di fatto?
Ne parliamo in questo articolo.

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Bene, abbiamo detto nell’intro che ci troviamo di fronte ad una società fallita con un amministratore di fatto che la gestiva.
L’amministratore di diritto, che compariva e firmava contratti e ordini, era soltanto una “testa di legno”, un “figurante”, un “prestanome”.
Dopo il fallimento si apre un processo per bancarotta fraudolenta perché i creditori NON sono stati pagati e i soldi della cassa NON si sa dove siano andati a finire.
Quali sono le conseguenze per l’amministratore di diritto? E per quello di fatto?
Chi risponderà penalmente per le condotte che vengono considerate illecite?
Voglio spiegarti tutto questo attraverso un esempio mutuato dalla mia esperienza professionale.
L’imprenditore Rossi ha subito un fallimento ed è stato inibito dallo svolgere attività d’impresa.
Sicché si serve del figlio e gli intesta una società in cui lui – il figlio – è l’amministratore di diritto.
In realtà, però, è il padre che gestisce tutti gli affari (contratta con i fornitori, gestisce l’organizzazione aziendale, paga gli stipendi ai dipendenti) tenendo all’oscuro il figlio delle operazioni illecite da lui compiute in danno dei creditori.
Domanda: Il figlio, amministratore di diritto della società, risponderà delle condotte illecite commesse dal padre (amministratore di fatto della societa)?
Secondo la giurisprudenza se si accerterà che la “testa di legno”, nel nostro caso il figlio, era consapevole delle attività illecite del padre ne sarà anch’egli responsabile.
Ma ancora, se l’amministratore di fatto, pur non sapendo specificamente gli affari del padre, aveva “accettato il rischio” che certe condotte illecite potessero compiersi allora questi risponderà di bancarotta fraudolenta insieme al padre.
Per la serie: “non poteva non sapere”.
Avremo quindi un concorso di persone nel reato, nella specie tra amministratore di fatto e amministratore di diritto.
Ma attenzione! Fermi tutti!
Vi è altra giurisprudenza, invece, molto più ragionevole, che sostiene che la semplice accettazione della carica (quindi come amministratore di diritto DA PARTE DEL FIGLIO) non autorizza a supporre la consapevolezza degli intenti criminosi coltivati dall’amministratore di fatto.
Quindi occorrerà dimostrare, con prove alla mano, che il figlio, amministratore di fatto, era consapevole delle condotte illecite dell’amministratore di diritto.
Se così non fosse vi sarebbe una responsabilità oggettiva, ovvero una responsabilità derivata soltanto dal fatto di aver per accettato una carica sociale.
Ciò cozzerebbe con il principio secondo cui la responsabilità penale è personale.
Quale delle due tesi vincerà? Sicuramente quella meglio sostenuta in giudizio.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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