L’omicidio, come tutti sanno, è il delitto che viene commesso da chi provoca la morte di un essere umano. Tuttavia, non tutti coloro che provocano con la propria condotta la morte di un uomo vengono puniti allo stesso modo, come mai?
Da una parte, la gravità di un reato dipende dal bene che il reato offende. Nel caso dell’omicidio si tratta della vita umana, bene cui l’ordinamento attribuisce importanza primaria, valore inestimabile. Dall’altra, la gravità di una condotta prevista dal codice penale dipende dalla c.d. partecipazione soggettiva dell’agente alla stessa. Cosa significa questo? Significa che un conto è premeditare di uccidere qualcuno, vale a dire architettare in ogni singolo particolare l’azione omicida, un altro è uccidere di impeto, per un eccesso d’ira, per gelosia ad esempio, un altro ancora è investire involontariamente con l’auto un passante provocandone la morte.
Facendo un passo indietro, la nostra Costituzione sancisce a caratteri cubitali, al secondo comma dell’articolo 27, che la responsabilità penale è personale. Ciò comporta che non solo non si può essere puniti per un fatto commesso da altri, ma non si può nemmeno essere puniti per un fatto per la cui commissione non si può essere rimproverati. Per fare un esempio di scuola, difficile da verificarsi ma utile per comprendere, se un operaio che lavora su un’impalcatura viene investito da una fortissima folata di vento, perde l’equilibrio, cade e, cadendo, travolge e uccide un passante, restando indenne, nessun rimprovero potrà essergli mosso per aver cagionato la morte del passante (ha operato una causa di forza maggiore) e dunque nessuna pena gli verrà inflitta. Se invece Tizio, messosi alla guida un po’ “alticcio”, non rispetta il limite di velocità, investe e uccide Caio, che stava attraversando la strada, la sua condotta è senza dubbio suscettibile di rimprovero, in quanto è una condotta non solo imprudente, ma anche illecita poiché tenuta in violazione delle norme del Codice della strada. Tuttavia la pena cui condannarlo dovrà tenere conto del fatto che mai Tizio avrebbe voluto cagionare la morte di Caio. L’evento si è verificato a causa di una sua imperdonabile superficialità, ma, se avesse potuto scegliere, mai Tizio l’avrebbe voluto. Ci troviamo di fronte ad un caso di omicidio colposo.
Più severa sarà la risposta sanzionatoria alla condotta di Sempronio che, nel corso dell’ennesima furibonda lite con Mevio, lo prende a pugni fino a farlo cadere all’indietro, battere la testa e morire. In questo caso si parla di omicidio preterintenzionale, letteralmente “oltre l’intenzione”. Sempronio intendeva percuotere o ferire, invece ha, involontariamente, ucciso Mevio. La gravità della condotta aumenterebbe nel caso in cui Tizio, trovando la moglie Caia a letto con Sempronio, accecato dall’ira e dalla gelosia, estraesse un coltello e colpisse Sempronio al fine di ucciderlo, riuscendo nel suo proposito. Si tratterebbe infatti di omicidio volontario. La variante più grave rimane quella dell’omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione, che ricorre qualora l’omicida non agisca d’impeto, come nell’esempio precedente, ma avendo progettato a lungo e nel dettaglio l’assassinio che poi, di fatto, mette in atto. A titolo di esempio si pensi al caso trattato dallo studio di un uomo che, dopo aver litigato furiosamente con il fratello nel pomeriggio, la sera lo investe cagionandone la morte. Il Pubblico Ministero ha ravvisato nella lite pregressa una chiara prova della premeditazione.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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