Il delitto di truffa

La truffa è un reato previsto e punito dal nostro codice penale.

L’art. 640 c.p., infatti, stabilisce che: “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032 .

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549:

1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;

2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità;

2-bis. se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).”

Come si evince dal testo della norma, una delle aggravanti specifiche di questo reato è aver commesso il fatto “a danno dello Stato o di un altro ente pubblico”.

La disposizione mira a punire più severamente le condotte perpetrate nei confronti del soggetto pubblico, stante il maggior disvalore che esse esprimono.

Giurisprudenza rilevante

La Giurisprudenza ha avuto più volte modo di occuparsi della fattispecie in parola:

Può configurare truffa aggravata  ex art. 640, 2° co., n. 1 l’immatricolazione in Italia di veicoli importati dall’estero, effettuata mediante la presentazione di documenti materialmente falsi comprovanti l’avvenuto pagamento dell’imposta, ovvero di dichiarazioni ideologicamente false attestanti il fatto che l’IVA non era dovuta, in quanto già precedentemente versata ( C., Sez. II, 22.9.2015, n. 39895).

È sempre truffa aggravata ai danni dello Stato, ex art. 640, 2° co. il reato che generalmente viene contestato in ipotesi di c.d. assenteismo dal posto di lavoro, nelle ipotesi in cui il pubblico impiegato induca in errore, mediante artifizi o raggiri, l’ente presso il quale risulta impiegato circa la sua presenza sul posto di lavoro. In particolare, commette il reato di truffa ai danni dello Stato il dipendente pubblico il quale timbra il cartellino al fine di far apparire la sua presenza in ufficio mentre, in realtà, si dedica ad un diverso lavoro ( C., Sez. V, 11.6.2008).

Nella prassi applicativa, si è posto il problema dei rapporti tra il reato in parola e i reati in materia fiscale.

Ancora, integra il reato in esame lo schema della cosiddetta “truffa carosello” finalizzata all’evasione fiscale.

Essa consiste nella costituzione di diverse società in Paesi esteri, con attribuzione di partita Iva, l’interposizione di tali società, quali cartiere, nello schema di “carosello” costituiscono gli stessi passaggi che consentono, da un lato, di considerare le fatture contestate come soggettivamente inesistenti e, dall’altro, di considerare evasa l’Iva da parte delle società destinatarie finali della merce oggetto del giro di fatture contestato. 

Spesso, dunque, questa particolare forma di truffa allorquando ha ad oggetto percezioni di somme pubbliche ovvero corresponsioni fiscali, può presentare caratteri di contiguità verso altre figure criminose.

Reati fiscali

Un tema che ha interessato la Giurisprudenza è stato il rapporto tra il delitto da ultimo richiamato e alcuni reati fiscali.

Ci si riferisce, in particolare, al rapporto tra la truffa aggravata ai danni dello stato e gli artt. 2, 3 ed 8 del d. lgs. 74/2000 che sanzionano le condotte finalizzate all’evasione fiscale attuate mediante emissione di fatture IVA per operazioni inesistenti (art. 8), di annotazione di tali false fatture sui registri contabili (art. 2), o attraverso ulteriori e diversi mezzi fraudolenti (art. 3).

Si trattava, in particolare, di stabilire il concorso tra le fattispecie tributarie e la truffa aggravata fosse possibile ovvero da escludere.

La questione è giunta alle Sezioni Unite della Suprema Corte che hanno valorizzato il principio di specialità espresso dall’art. 15 c.p. precludere il configurarsi del concorso di reati. (Cass., Sez. Un. 28.10.2010 n.1235).

Le S.U., infatti, hanno chiarito che intento del Legislatore nella formulazione delle fattispecie penali tributarie fosse da identificare nello scopo di anticipare la tutela penale a quei comportamenti che sfocino in dichiarazioni fiscali non rispondenti al vero: i reati fiscali, infatti, sono reati di mera condotta, in rapporto di specialità rispetto alla truffa dal momento che si caratterizzano per la modalità di artifizio, che consiste nell’annotazione o emissione di fatture false, ovvero nel predisporre comunque un falso impianto contabile.

L’evento di danno non è escluso nella fattispecie tributaria, ma diventa l’oggetto del dolo specifico, ovvero nel “fine di evadere le imposte”.

In applicazione del principio di cui all’art. 15 c.p., dunque, si applicherà la sola fattispecie tributaria, che peraltro presenta una cornice sanzionatoria più elevata.

Un altro tema ampiamente dibattuto è stato il rapporto tra la truffa aggravata ex art. 640 comma 2 n. 1 c.p. e il delitto di frode fiscale espressamente previsto dall’art. 640 bis c.p., nonché in ordine alla relazione tra quest’ultima fattispecie e la malversazione di cui all’art. 316-ter c.p. che reprime l’ indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato.

Il delitto di frode fiscale

L’art. 640 bis c.p. rubricato “Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni” recita:

La pena è della reclusione da due a sette anni e si procede d’ufficio se il fatto di cui all’articolo 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee”.

L’art. 640 bis è stato introdotto nel codice penale dall’art. 22, L. 19.3.1990, n. 55 recante “Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale”.

La ratio dell’art. 640 bis va individuata nell’intenzione del Legislatore il fenomeno della truffa, relativamente a quei profili rispetto ai quali la formulazione dell’art. 640 comma 2 n. 1 c..p. era risultata non completamente adeguata.

Ci si riferisce, in particolare, impossibilità di ricondurre nell’alveo di tale fattispecie i casi in cui alla fraudolenta percezione dell’erogazione (ottenuta tramite artifici e raggiri tipici della truffa volti a falsare lo stato dei fatti in ordine alla sussistenza dei presupposti previsti per legge per beneficiare del finanziamento pubblico) non avesse fatto seguito anche l’indebito utilizzo della stessa.

In tal caso, infatti, non sarebbe stato integrato l’altro elemento tipico del delitto ovvero l’evento-danno ingiusto, posto che il fine cui la sovvenzione pubblica risultava originariamente destinata sarebbe comunque stato raggiunto. 

Secondariamente, quanto all’elemento soggettivo del reato, la previsione normativa di cui all’ art. 640, cpv. n. 1, lasciava impunita l’eventualità che l’agente agisse sulla base di “dolus subsequens”, ovvero facesse un uso fraudolento del denaro pur lecitamente ottenuto.

Art. 316-ter c.p.

La Giurisprudenza ha avuto modo, altresì di tracciare i confini tra la fattispecie criminosa di cui all’art. 640-bis c.p. e la fattispecie di cui all’art. 316-ter c.p. che, sanziona l’indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato e così dispone:

“Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640-bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri.

Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito .”

Emerge, in primo luogo, la clausola di sussidiarietà espressa di cui all’incipit della norma che, tuttavia, non ha evitato il sorgere di un acceso dibattito sul punto.

Al fine di comprendere la linea di confine tra le due ipotesi,  è stato necessario porre l’attenzione sulla corretta interpretazione da accordare alla maggiore o minore ampiezza del raggio di operatività dell’art. 640 bis, con particolare riguardo alla condotta tipica.

Si tratta, specificamente, di stabilire se gli artifici o raggiri tipicamente necessari per l’integrazione del reato di truffa ricomprendano o meno le condotte di omissione o falsa dichiarazione descritte all’ art. 316-ter c.p.e, dunque di definire la posizione che tale ultima norma riveste all’interno dell’ordinamento in relazione alla più severa previsione di cui all’art. 640 bis. 

La questione è giunta due volte all’attenzione delle Sezioni Unite della Suprema Corte.

La prima questione vedeva contrapposti i seguenti orientamenti: secondo un primo orientamento le condotte tipiche di cui all’ art. 316-ter non sarebbero state da ricomprendere nella nozione di “raggiro” propria del più grave reato di truffa; secondo il contrapposto orientamento, diversamente, il vero tratto distintivo tra le due fattispecie era da individuarsi nell’induzione in errore e nella produzione del danno in capo al medesimo che avrebbe determinato la configurabilità della più severa fattispecie ex art. 640 bis c.p.

Le Sez. Unite (Cass., S.U., 19.4.2007) hanno aderito al secondo degli orientamenti prospettati in virtù del quale, inoltre, troverebbe giustificazione  la minor gravità della pena di cui all’art. 316 ter.

Conseguenza della tesi appoggiata dalla Suprema Corte, infatti, sarebbe proprio la restrizione della operatività della norma indicata alle sole condotte, meno gravi, che, ancorché fraudolente, non risultino idonee a cagionare il danno derivante dall’induzione in errore del soggetto passivo.

La seconda pronuncia delle Sezioni Unite investiva invece il quesito se, nel caso di erogazione da parte di ente pubblico di contributo o finanziamento, ottenuto fraudolentemente, il delitto di cui all’art. 640-bis concorresse con quello di cui all’ art. 316-bis, laddove il contributo finalizzato a favorire attività di interesse pubblico fosse destinato almeno in parte ad altre finalità, ovvero assorba tale ultimo delitto, nel presupposto che esso realizzi uno stadio minore dell’offesa al medesimo bene protetto.

La questione è stata risolta nel senso del concorso tra i due delitti da  C., S.U., 23.2.2017, n. 20664.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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