Bancarotta fraudolenta e patteggiamento: quale legame?
Cos’è la bancarotta fraudolenta?
La bancarotta fraudolenta è disciplinata dall’art. 216 della Legge Fallimentare, che ne distingue tre tipologie, a seconda delle condotte poste in essere dall’imprenditore dichiarato fallito:
-bancarotta patrimoniale, che si configura con le condotte di distrazione, occultamento, dissimulazione, distruzione o dissipazione dei beni, nonché esposizione o riconoscimento di passività inesistenti;
-bancarotta documentale, che si realizza con le condotte di distruzione o falsificazione dei libri e delle scritture contabili, tenuti in modo da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari;
-bancarotta preferenziale, che si verifica quando il fallito esegue pagamenti o simula titoli di prelazione al fine di favorire alcuni creditori a danno di altri.
È possibile patteggiare in caso di bancarotta fraudolenta?
Il patteggiamento, rito speciale premiale e deflattivo del dibattimento, può essere richiesto anche in caso di bancarotta fraudolenta: l’imprenditore fallito rinuncia a dimostrare la propria innocenza in dibattimento, alla quale potrebbe contribuire, ad esempio, l’escussione di consulenti di parte, al fine di ottenere lo sconto di pena sino a 1/3 e non vedersi applicate le pene accessorie.
Ancora, se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda: l’imputato è tenuto unicamente alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile, a meno che non ricorrano giusti motivi per procedere alla compensazione totale o parziale.
Infine, è importante ricordare che la sentenza di patteggiamento pronunciata al termine del procedimento non è appellabile dal Pubblico Ministero che ha prestato il proprio consenso alla richiesta di pena concordata avanzata dall’imputato.
Facciamo un esempio: Tizio è accusato di bancarotta fraudolenta per distrazione, ai sensi dell’art. 216 co. 1 L. Fall.; la pena base è pari ad anni 3 di reclusione, non sussistono circostanze aggravanti, ma vengono richieste le attenuanti generiche, ex art. 62 bis c.p. Il calcolo sarà così effettuato:
-pena base: anni 3 di reclusione;
-ridotta di 1/3 ad anni 2 di reclusione per le attenuanti generiche;
-ridotta di 1/3 ad anni 1 mesi 6 di reclusione per la scelta del rito.
Calcolo del patteggiamento per bancarotta fraudolenta: come avviene
Come avviene il calcolo del patteggiamento per bancarotta fraudolenta?
Anzitutto, è bene distinguere se si tratta di bancarotta fraudolenta patrimoniale o documentale oppure preferenziale, perché nei primi due casi la pena base sarà più elevata (3 anni) rispetto all’ultima ipotesi (1 anno).
Anche in questo caso il calcolo deve seguire un preciso ordine, perché il primo passo sta nel considerare le circostanze aggravanti e attenuanti: qualora concorrano più circostanze, si opera il primo aumento o diminuzione sulla pena base e sul calcolo così ottenuto si effettueranno i successivi aumenti o diminuzioni.
Tale calcolo, operato sulla base delle circostanze, costituirà la base per la riduzione della pena fino a 1/3 dovuta alla scelta del rito.
Due esempi:
1) Tizio è accusato di bancarotta fraudolenta per dissipazione (patrimoniale): si chiedono le circostanze attenuanti generiche perché Tizio ha reso confessione ed ha tenuto un corretto comportamento processuale. Il calcolo della pena sarà così effettuato:
-pena base: 3 anni di reclusione;
-ridotta di 1/3 per le attenuanti generiche a 2 anni di reclusione;
-ridotta di 1/3 per la scelta del rito ad 1 anno e 4 mesi di reclusione.
2) Caio è accusato di aver simulato un titolo di prelazione per favorire uno dei creditori a scapito di altri, con l’aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità, ai sensi dell’art. 61 n. 7 c.p. Il calcolo sarà così effettuato:
-pena base: 1 anno di reclusione;
-aumentata di 1/3 a 1 anno e 4 mesi di reclusione;
-ridotta di 1/3 per la scelta del rito a 11 mesi di reclusione.
Durata del processo per bancarotta fraudolenta
Qual è la durata del processo per bancarotta fraudolenta? I processi per bancarotta fraudolenta seguono esattamente lo stesso iter previsto per tutti quei reati che presentano cornici edittali particolarmente elevate (sì, perché la bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale sono punite con la reclusione da 3 a 10 anni, mentre la bancarotta preferenziale è punita con la reclusione da 1 a 5 anni).
Ebbene, anche in questo caso il procedimento scaturisce dalla comunicazione della notizia di reato, sotto forma di relazione del curatore fallimentare, di un suo esposto, di denunce-querele di sindaci o amministratori o dell’autorità di vigilanza.
Il procedimento si snoda nelle tre fasi canoniche delle indagini preliminari, udienza preliminare e dibattimento, a meno che nel corso della prima o della seconda fase non intervenga la richiesta di applicazione della pena da parte dell’indagato/imputato.
In quel caso la proposta di patteggiamento verrà presentata da quest’ultimo al Pubblico Ministero e in caso di suo parere favorevole l’ultima parola spetterà al giudice.
Se il giudice ritiene la pena congrua, corretta la qualificazione giuridica del fatto di reato ed esatta la comparazione delle eventuali circostanze aggravanti ed attenuanti intervenute, pronuncia sentenza di patteggiamento.
Ovviamente, il patteggiamento riduce notevolmente la durata del processo, essendo proprio la deflazione una delle finalità del rito speciale di cui si tratta, insieme allo sconto di pena fino a 1/3.
Se, invece, l’imprenditore fallito intende dimostrare la propria innocenza in dibattimento, attraverso ad esempio l’escussione di un consulente contabile di parte, seguirà l’iter ordinario, rinunciando ad una definizione anticipata del procedimento ed allo sconto di pena previsto dal patteggiamento.
Patteggiamento e ammissione di colpa: equivalgono?
Il patteggiamento equivale ad ammissione di colpa?
In seguito alle recenti prese di posizione della Corte di Cassazione (sent. n. 20562 del 06.08.2018), la sentenza di patteggiamento viene ad essere considerata nel giudizio civile quale ammissione di colpa, elemento di prova per il giudice di merito che, laddove decida di discostarsene, è tenuto a motivare adeguatamente in ordine alle ragioni per cui l’imputato si sarebbe addossato una colpa non sua e il giudice avrebbe creduto a tali propalazioni.
Sino ad allora, invece, l’imputato, attraverso il patteggiamento, non aveva mai inteso ammettere la propria responsabilità per i fatti ascrittigli: ricorreva a tale rito speciale per ottenere uno sconto sulla pena finale, rinunciando a dimostrare la propria innocenza in dibattimento unicamente per un tornaconto personale ed al fine di ridurre i tempi della giustizia.
Pertanto, tale revirement giurisprudenziale è stato confermato dalla recente ordinanza 3643 del 07.02.2019 pronunciata dalla Suprema Corte, la quale ha ribadito che qualora il giudice non intenda attribuire alcuna valenza probatoria alla sentenza di patteggiamento deve dare contezza delle motivazioni per cui l’imputato abbia fatto mea culpa e il giudice gli abbia creduto.
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