La CAPACITÀ DI INTENDERE E DI VOLERE è disciplinata dall’art. 85 c.p.
secondo cui “nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come
reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile”.
Tale capacità è costituita da due elementi:
• La capacità di intendere ovvero la predisposizione del soggetto a comprendere il significato delle proprie azioni nella situazione in cui agisce:
ovvero essere in grado di distinguere un comportamento lecito da uno illecito e
di comprendere le conseguenze penali di tale condotta.
• La capacità di volere invece è il potere di controllo dei propri stimoli e
impulsi ad agire.
Il soggetto sprovvisto di tali attitudini, quindi, incapace di intendere e di volere
non è imputabile per il diritto penale italiano.
Nel nostro ordinamento le cause che escludono o limitano la capacità di
intendere e di volere sono la minore età (ex artt. 97-98 c.p.), il vizio di mente
(ex artt. 88-89 c.p.), l’ubriachezza e l’intossicazione da sostanze stupefacenti
(ex artt. 92-93 c.p.) e il sordomutismo (ex art. 96 c.p.).
L’obiettivo del presente articolo sarà quello di spiegare, in modo atecnico, la
perdita della capacità di intendere e di volere conseguente alla presenza del
vizio di mente. Gli artt. 88 e 89 c.p., rispettivamente vizio totale e vizio parziale di mente, stabiliscono che non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto di reato era, per infermità, in tale stato di mente da ESCLUDERE O SCEMARE GRANDEMENTE la capacità di intendere o di volere.
La differenza abissale tra i due tipi di vizi è che mentre nel vizio totale di mente il soggetto non è imputabile, nel vizio parziale, non essendo esclusa la capacità di intendere o di volere, il soggetto risponderà ugualmente del reato commesso anche se la pena sarà diminuita.
Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, nel concetto di “infermità” possono rientrare non soltanto le malattie mentali a base organica ma anche i “meri disturbi della personalità” purché il giudice ne accerti la gravità e l’intensità e il nesso eziologico con la condotta criminosa (Sez. Un. Sentenza 9163 del 8.3.2005).
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ulteriormente evidenziato che, ai fini dell’applicazione degli artt. 88 ed 89 c.p., acquistano rilievo i disturbi della personalità che siano, per consistenza, intensità, rilevanza e gravità, tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere.
Pertanto dev’essere un disturbo idoneo a determinare una situazione psichica incontrollabile tale da rendere il soggetto incapace di controllare i propri atti (Cass. I sez. pen. sent. 31460 del 1.08.2012).
Dal punto di vista dell’imputabilità, le manifestazioni di tipo nevrotico, le personalità psicotiche o psicopatiche e le alterazioni comportamentali transitorie e, quindi, non dipendenti da una causa patologica non possono essere ricomprese fra le infermità che diminuiscono o eliminano l’imputabilità. Il “vizio parziale di mente” ex art. 89 c.p., invece, è rilevante qualora sia in grado di scemare grandemente, pur senza escludere, la capacità di intendere e di volere; perché si possa dare applicazione alla riduzione di pena disciplinata dall’ultimo comma è necessario che venga accertato uno stato clinicamente definibile come MORBOSO tale da determinare una consistente riduzione delle facoltà intellettive e volitive dell’imputato. Un caso concreto trattato dallo Studio Legale D’Andria riguardava una donna affetta da neoplasia.
I difensori dell’imputata argomentarono, per l’appunto, la propria difesa sull’incapacità di intendere e di volere della donna all’epoca dei fatti. Dall’esame clinico della patologia, era risultato che la lesione in oggetto non menomava né la capacità di intendere né la capacità di volere.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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