Quando si configura il delitto di cui all’art. 572 c.p.?

Ebbene, voglio portarti l’esempio di un caso realmente verificatosi e sul quale si è pronunciata da Corte di Cassazione con sentenza 35677/2019.

All’imputato si contestava di aver maltrattato la moglie, umiliandola e costringendola a sopportare una convivenza more uxorio con un’altra donna sotto lo stesso tetto, altresì minacciandola, percuotendola e lesinandole il denaro per far fronte alle primarie esigenze di vita, sì da renderle la vita particolarmente penosa e dolorosa.

Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, il delitto di maltrattamenti in famiglia non è integrato solo da percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni imposte alla vittima, ma anche da atti di disprezzo e offesa alla sua dignità, che sfocino in vere e proprie sofferenze morali, come la costrizione della moglie a sopportare la presenza dell’amante.

Peraltro, la Suprema Corte precisa che il reato di cui all’art. 572 c.p. si configura anche in danno di persona non convivente o non più convivente quando il soggetto agente e la vittima risultino legati da un vincolo di coniugio o affiliazione: difatti, la separazione legale e, a maggior ragione, la separazione di fatto non intaccano i doveri coniugali di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale e di collaborazione.

Nel caso di specie, quindi, la separazione non esclude il reato di maltrattamenti, poiché la condotta maltrattante va ad incidere su quei vincoli che, rimasti intatti a seguito del provvedimento giudiziario o della separazione di fatto, pongono la persona offesa in stato di subordinazione e soggezione psicologica.

In particolare, i giudici di merito avevano già correttamente individuato quali elementi configuranti il delitto in questione l’imposizione della convivenza con la concubina, la privazione economica nei confronti della moglie e del figlio, a dispetto dell’agiatezza in cui viveva il soggetto agente con la convivente, la sottrazione di un’ingente somma di denaro derivante dalla vendita di un immobile di proprietà della persona offesa, nonché i ripetuti atti di violenza fisica e verbale perpetrati nei confronti di quest’ultima.

La sentenza in questione ha richiamato, inoltre, la costante giurisprudenza in tema di elemento soggettivo del reato di cui all’art. 572 c.p., dalla quale emerge che non è necessario che il soggetto attivo abbia perseguito finalità specifiche né il proposito di infliggere sofferenze fisiche o morali alla vittima senza motivo (dolo specifico), risultando invece sufficiente la coscienza e volontà di sottoporla a tali sofferenze in maniera continua ed abituale (dolo generico). 

Ne deriva, pertanto, che il reo accetta di compiere le condotte maltrattanti, consapevole di persistere in un’attività illecita posta in essere già altre volte.

Pertanto, il delitto di maltrattamenti in famiglia è costituito da una condotta abituale che si estrinseca in una serie di atti, delittuosi o meno, che determinano una serie di sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma avvinti da un nesso di abitualità e dall’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o morale del soggetto passivo.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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