Cos’è il “patteggiamento in appello”?
Il concordato in appello, anche detto “patteggiamento in appello”, è disciplinato dall’art. 599 bis c.p.p., introdotto con la Legge 23 giugno 2017 n. 103 (c.d. “Riforma Orlando”), che al comma 1 recita testualmente: “La corte provvede in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall’art. 589, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo.”
Si tratta quindi di una modalità di trattazione semplificata del giudizio d’appello, che viene celebrato in camera di consiglio anziché in pubblica udienza.
In questo caso l’accordo delle parti verte sulla possibilità e convenienza di conservare tutti o parte dei motivi di appello, eventualmente rinunciando agli altri.
Si evidenzia, inoltre, che se l’appello è avverso una sentenza di condanna e i motivi oggetto dell’accordo incidono sulla misura della pena, le parti indicano anche la pena concordata: quindi, grazie all’istituto del concordato in appello, il difensore e il Pubblico Ministero scendono a patti sulla pena finale da irrogare.
Cosa succede in caso di accoglimento della richiesta?
Se il giudice non accoglie la richiesta, ordina la citazione a comparire a dibattimento: in questo caso la rinuncia e la richiesta non hanno alcun effetto ma possono essere riproposte in dibattimento. Ciò trova conferma nell’art. 602 c. 1 bis c.p.p., secondo il quale “Se le parti richiedono concordemente l’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello a norma dell’articolo 599 bis, il giudice, quando ritiene che la richiesta deve essere accolta, provvede immediatamente; altrimenti dispone la prosecuzione del dibattimento. La richiesta e la rinuncia ai motivi non hanno effetto se il giudice decide in modo difforme dall’accordo.”
Qual è la differenza tra “patteggiamento in appello” e “patteggiamento tradizionale”?
Nonostante la denominazione dell’istituto, il concordato in appello si differenzia notevolmente dal rito speciale del patteggiamento previsto dagli artt. 444 e ss. c.p.p., dal momento che non si applica la diminuente fino a 1/3 né sussiste il limite di 5 anni di pena detentiva, soli o congiunti a pena pecuniaria.
Tuttavia, in entrambi i casi figurano preclusioni oggettive e soggettive: difatti, anche dall’applicazione del concordato in appello sono esclusi i procedimenti per delitti di cui all’art. 51 c. 3 bis e quater c.p.p., 600 bis, 600 ter c. 1, 2, 3, 5, 600 quater, c. 2, 600 quater.1, 600 quinquies, 609 bis, 609 ter, 609 quater e 609 octies c.p., nonché i procedimenti contro coloro i quali siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
Un noto caso di concordato in appello riguarda un famoso dirigente: in primo grado veniva condannato alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione per il reato di corruzione; in appello, invece, grazie all’istituto del concordato e alla derubricazione del reato in appropriazione indebita (in seguito alla mancata qualificazione dell’imputato in termini di incaricato di pubblico servizio), la pena veniva ridotta ad anni 2 di reclusione, concessi i doppi benefici di legge della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel casellario giudiziale. Scopri di più anche sulla sentenza di patteggiamento e istanza di patteggiamento.