L’appropriazione indebita di denaro è un reato disciplinato dall’art. 646 del codice penale italiano e punisce chi, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro (o di una cosa mobile altrui), della quale abbia, a qualsiasi titolo, il possesso.
A seguito delle modifiche apportate dalla nuova Legge Anticorruzione 2018, tale reato è punito con:
- la reclusione da due a cinque anni;
- la multa da euro 1.000 a euro 3.000.
Se il delitto è stato commesso da chi possedeva il bene a titolo di deposito necessario si tratta di una circostante aggravante e, quindi, è previsto un aumento della pena.
L’art. 646 recita: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro mille a euro tremila.
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.”
Appropriazione indebita di denaro
L’obiettivo perseguito dalla norma che sanziona l’appropriazione indebita è quello di punire chiunque si appropri di denaro o di una cosa mobile e, approfittando di tale situazione di “vantaggio”, si comporti come se ne fosse il proprietario, senza in realtà esserlo.
La Cassazione penale, Sez. II, nella sentenza del 21/04/2017, n. 24857, stabilisce che:
“Ai fini della configurabilità del delitto di appropriazione indebita, qualora oggetto della condotta sia il denaro, è necessario che l’agente violi, attraverso l’utilizzo personale, la specifica destinazione di scopo ad esso impressa dal proprietario al momento della consegna, non essendo sufficiente il semplice inadempimento all’obbligo di restituire somme in qualunque forma ricevute in prestito. (In motivazione la Corte ha osservato che, con particolare riguardo al contratto di mutuo, il denaro per definizione transita in proprietà del mutuatario, il quale è libero di disporne secondo i propri voleri, con la conseguenza che la mancata restituzione, da parte sua, di quanto ricevuto non comporta alcuna interversione nel possesso idonea ad integrare l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 646 codice penale)”.
Il reato di appropriazione indebita, quindi, non può configurarsi in riferimento ad una somma di denaro che sia transitata al soggetto per mezzo di un regolare contratto di mutuo.
Facciamo un altro esempio: un albergatore decide di non pagare le tasse di soggiorno intascandosi ingenti somme di denaro. L’accusa è quella di appropriazione indebita di denaro pubblico.
Inoltre, la Cassazione, nella sentenza n. 50672 del 2017, chiarisce un altro punto:
“Se al momento della consegna del denaro non viene impresso allo stesso uno specifico vincolo di destinazione di scopo da parte del proprietario, non può ritenersi integrato il delitto di appropriazione indebita in caso di violazione del detto obbligo restitutorio non essendo sufficiente il mero inadempimento all’obbligo restitutorio delle dette somme in qualunque modo ricevute in prestito.”
Prestito di denaro e appropriazione indebita: cosa è bene sapere
Cosa devi sapere sul prestito di denaro e appropriazione indebita? Se un soggetto non restituisce il denaro che gli è stato prestato da un amico e/o conoscente, non commette il reato di appropriazione indebita.
Per cui, come spiega la Cassazione nella sentenza n. 24857/17 del 18.05.2017, il creditore non può querelare chi non gli restituisce la somma di denaro che ha prestato poiché il reato si verifica solo quando la somma viene consegnata con una precisa finalità e detto scopo non viene rispettato.
Secondo la Cassazione, in tali casi, il reato non sussiste, poiché l’appropriazione indebita scatta solo quando il denaro “è stato consegnato dal legittimo proprietario, ad altri con specifica destinazione di scopo che venga poi violata attraverso l’utilizzo personale da parte dell’agente.”
Facciamo l’esempio in cui la destinazione del denaro è stata definita e il possessore di questo non rispetta la destinazione realizzata (in tal caso si configurerebbe il reato in parola).
Immaginiamo un soggetto che, non potendo recarsi in posta per pagare le proprie bollette, incarichi un amico di farlo al suo posto consegnandogli il denaro per il pagamento.
Dopo qualche giorno, però, scopre l’amico non si è recato in posta.
L’amico sostiene di non aver fatto ancora in tempo ad andare per motivi personali ma, in realtà, ha speso tutti i soldi – che gli erano stati dati – per sé stesso. Promette, quindi, di restituirli al legittimo proprietario ma col passare del tempo ciò non avviene.
In questo caso, chi non restituisce i soldi commette reato di appropriazione indebita e può essere querelato poiché il denaro che gli era stato dato serviva per uno scopo che, però, non è stato rispettato. Si tratta, quindi, di prestito di denaro con appropriazione indebita.
Appropriazione indebita di denaro del “de cuius”
Cosa dire, invece, dell’appropriazione indebita di denaro del de cuius? Nel momento in cui il titolare di un conto corrente muore, la banca deve essere informata del decesso del proprio cliente dagli eredi del correntista al fine di bloccare la possibilità di effettuare i prelievi e di revocare le deleghe.
Quando gli eredi avvisano l’istituto di credito, quest’ultimo congela il conto fino a quando viene presentata la dichiarazione di successione.
Cosa succede se, invece, la banca non viene informata del decesso e gli eredi effettuano dei prelievi dal conto del “de cuius”?
Il delegato che preleva somme di denaro dal conto corrente del defunto -titolare del conto stesso- prima di avvisare l’istituto di credito della morte del correntista, commette il reato di appropriazione indebita nei confronti dei legittimi titolari (gli altri eredi).
Però, si configura il reato solo se, al momento del prelievo, il delegato non era al corrente del decesso del titolare del conto. Per questo motivo, è necessario che sussista la malafede del soggetto attivo.
È possibile, quindi, querelare il soggetto che ha prelevato somme di denaro dal conto corrente del de cuius.
Sia la banca, che i legittimi eredi possono presentare la querela entro tre mesi dalla conoscenza del fatto delittuoso.
Il tribunale di Perugia, nella sentenza n. 1234/2015, afferma che è colpevole colui che, essendo titolare di una delega ad operare sul conto di un parente, si appropria illecitamente di somme di denaro di tale conto dopo il decesso del correntista.
Il procedimento penale a carico del soggetto attivo, però, può essere archiviato per “particolare tenuità del fatto” se, quest’ultimo, provvederà a restituire la somma sottratta ai legittimi eredi.
Inoltre, se la banca era a conoscenza della morte del soggetto e non ha impedito al soggetto attivo di effettuare prelievi sul conto corrente del “de cuius”, allora è corresponsabile del fatto delittuoso ed ha il dovere di restituire, anch’essa, la somma di denaro sottratta indebitamente.
Oltre alle informazioni sull’appropriazione indebita di denaro del decuius, o del prestito di denaro con conseguente appropriazione indebita, scopri anche come tutelarti in merito all’appropriazione indebita aggravata, cosa dice l’art.646 del codice penale, e il reato di appropriazione indebita.
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