Diffamare, ossia, letteralmente “creare a qualcuno una cattiva fama”, comporta conseguenze sia sotto il profilo penalistico, sia sotto il profilo civilistico-risarcitorio.
La libertà di stampa nell’ultimo cinquantennio è stata via via ampliata, esondando dagli strettissimi e rigidi argini entro i quali era stata costretta dal legislatore fascista negli anni Trenta.
Oggi la rilevanza penale delle condotte diffamatorie è inquadrata dal codice penale all’articolo 595 come segue. “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1032”. “Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad euro 516”.
Affinchè il reato di diffamazione sia integrato, trattandosi di un reato di evento, è necessaria, anzitutto, l’offesa alla reputazione di un soggetto. Offesa che non sia direttamente rivolta al suo destinatario, altrimenti si avrebbe il diverso reato di ingiuria, ma percepita da terzi. Se la notizia è stata divulgata dai media, la sua percezione da parte di terzi è considerata in re ipsa, presunta fino a prova contraria (Cass. penale, sez. V, 21.06.2006 n. 25875).
Se in passato, ai fini della configurabilità del delitto in questione, era richiesto anche l’animus diffamandi, ossia la specifica volontà di ledere l’altrui reputazione, oggi la giurisprudenza ritiene sufficiente il dolo generico, vale a dire la consapevolezza dell’attitudine offensiva della condotta (Cass. penale, sez. V, 07.03.2006, n. 16323).
Ancora, ai fini della rilevanza giuridico-penale della condotta, è necessario che sia possibile individuare l’effettivo destinatario dell’offesa. In mancanza di nominativi, questi deve poter essere indubbiamente identificato sulla base di riferimenti inequivoci, in particolare con riguardo alla natura e portata dell’offesa, alle circostanze narrate, oggettive e soggettive, ai dettagli personali e temporali e simili (Cass. sez. III civile, 06.08.2007, n. 17180). L’esimente che più frequentemente viene invocata con riferimento alla diffamazione a mezzo stampa è quella dell’esercizio del diritto di cronaca, ex art. 51 c.p.. Tale causa di giustificazione, tuttavia, opera solo se il fatto diffamatorio divulgato è vero, se sussiste un oggettivo interesse pubblico a conoscerlo e se è altresì rispettato il limite della continenza espositiva. Quest’ultimo postula, secondo la Cassazione, “che la cronaca non vada al di là di quanto è strettamente necessario per l’appagamento del pubblico interesse all’informazione e che la critica non trasmodi in attacco personale consapevolmente lesivo della sfera privata altrui”, il che deve essere confermato

dalla “moderazione, proporzione e misura del dictum” (Cass. Sez. V, 6.2.1981 n. 5385).
Sotto il profilo civilistico, chi è stato diffamato può far valere la responsabilità extracontrattuale del diffamatore al fine di ottenere il risarcimento del danno subito. La diffamazione, infatti, oltre a determinare la violazione di diritti fondamentali dell’individuo, quali il diritto all’immagine, alla reputazione, all’onore, alla privacy, non suscettibili di valutazione economica, può comportare altresì danni patrimoniali, quali la perdita del lavoro e le spese da sostenere per contenere gli effetti dell’atto diffamatorio.
Per ottenere tale risarcimento è opportuno denunciare il diffamatore e costituirsi parte civile nel relativo processo. L’avvocato Francesco D’Andria in diversi procedimenti, in qualità di difensore della persona offesa, ha curato la costituzione in veste di parte civile e il conseguimento del risarcimento dei danni da reato.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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