QUANDO UNA PERSONA (NON) RISCHIA DI SUBIRE CONSEGUENZE GIURIDICHE IN SEGUITO AD INTERCETTAZIONI CHE RILEVANO DICHIARAZIONI SUL TRAFFICO ILLECITO DI SOSTANZE STUPEFACENTI.

CHE COS’è LA DROGA PARLATA?

Caro lettore,

oggi vorrei parlarti di un argomento che ha toccato da vicino un mio cliente; un argomento sempre attuale e all’ordine del giorno.

Parliamo di droga e della possibilità di essere accusati di spaccio di stupefacenti sulla base di prove ricavate unicamente da intercettazioni telefoniche.

Si parla di “droga parlata” quando una persona viene “spiata” mediante apposite apparecchiature perché ritenuta sospetta, data la sua vicinanza ad ambienti criminali ed in particolare a traffici illeciti di stupefacenti.

Nei processi per “droga parlata”, di droga, appunto, come si evince dalla definizione stessa, se ne parla soltanto. Nonostante ciò, è possibile che una persona incorra in problemi giudiziari proprio in base alle dichiarazioni “catturate” dalle intercettazioni telefoniche e/o ambientali.

Il caso emblematico riguardante un mio assistito presenta però alcune caratteristiche atipiche.

È pacifico dalla dottrina e giurisprudenza, che è possibile condannare una persona in base alle risultanze delle intercettazioni effettuate a suo discapito.

Tutto ciò, però, presuppone un elemento importante e secondo me, indispensabile, ovvero il rinvenimento della sostanza oggetto delle intercettazioni.

Il mio cliente è stato accusato ingiustamente di aver acquistato, custodito e ceduto quantitativi non modici di sostanza stupefacente.

Il problema (ma dal mio punto di vista, la svista da parte degli organi inquirenti), è rappresentato dal fatto che al di là delle conversazioni avvenute in  auto, il cui contenuto verrà approfondito da qui a breve, al mio assistito non è mai stata trovata o avvistata chiaramente alcuna sostanza drogante.

Ciò che rende chiara e lineare una situazione dai tratti apparentemente oscuri ed illeciti, è semplicemente la mancanza di un riscontro oggettivo tra ciò che veniva detto in auto e ciò che (non) è stato mai rinvenuto nella disponibilità del mio assistito.

QUAL è LA STORIA?

Il mio cliente è stato coinvolto in un processo per droga parlata.

In particolare è stato accusato di spaccio perché diverse persone di cui era solito circondarsi, erano effettivamente dedite a traffici illeciti di stupefacenti, e per questo motivo, sottoposti ad intercettazioni. Per la medesima preoccupazione, anche i suoi movimenti e le sue parole sono state intercettate.

Dalle intercettazioni emergono conversazioni tra il mio assistito ed un imputato nel medesimo processo, riguardanti l’importazione di un noto marchio di champagne pregiato.

Gli organi inquirenti, tuttavia, travisando queste conversazioni, ne hanno letto un significato illecito, attribuendo alle parole pronunciate, un senso ed un valore completamente diverso da quello reale (champagne = droga).

MA CHE COSA VENIVA DETTO IN QUESTE CONVERSAZIONI?

Nelle conversazioni ritenute eloquenti, tali da basare una sentenza di condanna, si parla dunque di un’importazione di champagne pregiato.

Dalle trascrizioni delle conversazioni è possibile leggere proprio uno scambio di battute tra il mio assistito ed un’altra persona, i quali fanno chiari e precisi riferimenti allo champagne in arrivo, alle relative bottiglie, e al prezzo, non modico dell’importazione.

È stato sostenuto dal Giudice, che il prezzo concordato era troppo elevato per riferirsi ad un’importazione di champagne, e su questa base, l’intuizione di trasportare questa vicenda, lecita ed assolutamente trasparente, nell’oscura operazione che ha poi portato al suo arresto.

È doveroso a questo punto fare alcune precisazioni: innanzitutto, ormai, determinate tipologie di champagne sono assimilabili (per prezzi e pregi) a vere e proprie opere d’arte. In secondo luogo, è di non poco conto specificare che il mio assistito possiede un bar, destinatario di tale acquisto.

L’imputato si è trovato coinvolto in una situazione più grande di lui, per il fatto di avere amicizie pericolose.

Poiché sono stati evidenziati comportamenti inequivocabili di altri soggetti, si è deciso evidentemente di far rientrare tutte le persone (anche minimamente ed ingiustamente) coinvolte nelle intercettazioni, in un unico procedimento.

L’innocua espressione “domani arriva il carico di champagne”, non pare riferirsi, anche indirettamente ad alcuna attività illecita.

Sembra, invece che, poiché le persone a lui vicine, trattavano argomenti ben più gravi, che avevano ad oggetto sostanze diverse (nei loro casi dalle intercettazioni risultava parlarsi sempre di droga specificata e quantificata), le sue dichiarazioni sullo champagne, siano state oggetto di reinterpretazione (perché non è possibile neanche parlare di fraintendimento).

Si sono inserite parole assolutamente neutre in un contesto criminale, rendendole intrinsecamente portatrici di un significato del tutto diverso e soprattutto illecito.

Inoltre, dal momento che per gli inquirenti era in corso un’importante operazione di droga, non si spiega perché alle parole intercettate non segua alcun tipo di perquisizione o controllo.

La legge prevede un livello molto alto di certezza quando bisogna provare la penale responsabilità di una persona.

Si parla infatti di punire “oltre ogni ragionevole dubbio”, e non per mere induzioni o per essere “amico di”, e di conseguenza dando per scontato che una certa vicinanza ad un giro di persone, possa da sola descrivere un comportamento illecito.

Il mio assistito è stato condannato non solo sulla base di sole dichiarazioni ( perché, si badi, non è mai stato rinvenuto nulla nella sua disponibilità), ma anche e soprattutto, di conseguenza, omettendo il Giudice di definire elementi importantissimi per la determinazione e quantificazione della pena.

 

PERCHè NON POTEVANO CONDANNARLO?

  • Non è stata trovata alcuna sostanza stupefacente.
  • La sentenza parla di cessione di “quantità variabili”, perché ovviamente non è possibile specificare né la sostanza, né tantomeno il peso o il principio attivo.
  • Non è stato rinvenuto nella disponibilità dell’imputato alcun oggetto che potesse far neanche presumere la sua vicinanza al mondo della droga (nessun bilancino, nastro adesivo, prodotto chimico atto a lavorare la droga, buste di plastica ecc.)
  • Ma soprattutto non è stata rinvenuta, anche in seguito alla perquisizione presso la sua abitazione, che poi ha portato al suo arresto, alcun provento della (presunta) attività illecita. Anzi, dalle stesse intercettazioni si evince una difficoltà economica non indifferente dell’imputato.

In mancanza di materiale rinvenimento sia della sostanza che del sotteso provento della stessa, non pare possibile che una persona possa subire una ingiustizia tale da limitare la sacralità della propria libertà.

Attualmente il processo riguardante il mio assistito è in fase d’appello. Nell’esporre le contraddizioni ravvisate nella sentenza impugnata ho cercato di chiarire gli aspetti che il Giudice non ha adeguatamente specificato.

Sono sicuro che emergerà presto la verità per restituire ad un uomo accusato ingiustamente la sua vita di padre, marito e da uomo libero.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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