La famiglia è senza dubbio uno degli “habitat naturali” delle vittime deboli.
Nel corso degli anni, da allargata qual era, è andata via via restringendosi fino a chiudersi nella sua attuale struttura nucleare, con sporadici casi di inclusione di nonni o zii anziani. Una simile evoluzione ha fatto della famiglia un ambiente tendenzialmente impermeabile ai rapporti con l’esterno, le cui dinamiche sono difficili da controllare e i cui membri più fragili da proteggere.
Sensibile agli elevati rischi di vittimizzazione intra-familiare il legislatore ha dedicato un apposito titolo del codice penale, l’undicesimo, ai delitti contro la famiglia.
Vediamo le principali fattispecie che vi sono racchiuse.
Violazione degli obblighi di assistenza familiare. Art. 570.
Tale reato viene integrato da chi, “abbandonando il domicilio domestico, o comunque
serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli
obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà, o alla qualità di coniuge”. La norma mira a colpire in particolare chi dilapida le risorse economiche destinate al mantenimento dei componenti della famiglia e chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli e/o al coniuge. Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina. Art. 571.
Viene punito ai sensi di tale norma incriminatrice chi “abusa dei mezzi di correzione o di disciplina” in ambito familiare, “se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente”. Cosa si intende per abuso dei mezzi di correzione?
Non basta una piccola “sberla” usata sporadicamente a fini correttivi. La Cassazione (Cass. Pen., sez. VI, 21 dicembre 2010, n. 11251) ha infatti statuito che “non possono ritenersi preclusi quegli atti, di minima valenza fisica o morale che risultino necessari per rafforzare la proibizione, non arbitraria né ingiusta, di comportamenti oggettivamente pericolosi o dannosi rispecchianti la inconsapevolezza o la sottovalutazione del pericolo, la disobbedienza gratuita, oppositiva e insolente”. “Integra”, invece, “la fattispecie criminosa in questione l’uso in funzione educativa del mezzo astrattamente lecito, sia esso di natura fisica, psicologica o morale, che trasmodi nell’ abuso sia in ragione dell’arbitrarietà o intempestività della sua applicazione sia in ragione dell’eccesso nella misura”. La sentenza poc’anzi menzionata, ad esempio, ha confermato la condanna, ex art. 571 c.p., di una madre che aveva costretto la figlia minore recalcitrante a farsi tagliare i capelli, lasciandole segni di percosse alle gambe e ferite sul cuoio capelluto, provocate verosimilmente dal taglio indiscriminato di capelli con forbici da cucina.
Maltrattamenti contro familiari e conviventi. Art. 572.
Risponde di maltrattamenti chi “maltratta una persona della famiglia”.
Al fine di chiarire la differenza tra “abusare dei mezzi di correzione” e “maltrattare”, la Sprema Corte (Cass. pen., sez. VI, 10 maggio 2012, n. 36564) ha affermato che: “l’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche lì dove fosse sostenuto da “animus corrigendi”, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti”.
Nel caso di specie l’agente è stato ritenuto responsabile di maltrattamenti in famiglia per aver posto in essere ripetuti atti di violenza nel confronti del figlio con lo scopo dichiarato di insegnargli “come stare al mondo”.
Sottrazione consensuale di minorenni. Art. 573.
Il reato è commesso da chi “sottrae un minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, col consenso di esso, al genitore esercente la patria potestà o al tutore ovvero lo ritiene contro la volontà del medesimo genitore o tutore”.
Sottrazione di persone incapaci. Art. 574.
Il reato in parola è commesso, invece. da chi “sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la patria potestà, al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi”, e chi “chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di esso”.
I reati subiti tra le mura domestiche nella maggioranza dei casi non vengono denunciati, il che rende impossibile, per chi ne è stata vittima, ottenere un’adeguata tutela.
I motivi della mancata denuncia sono svariati, primi tra tutti: la paura, la vergogna e un malinteso senso di protezione che la famiglia, nonostante le dinamiche vittimizzanti che possono svilupparsi al suo interno, spesso non cessa di trasmettere ai suoi membri.
È invece di fondamentale importanza rivolgersi ad un avvocato al fine di comprendere, avvalendosi del suo bagaglio di conoscenze ed esperienze, se i fatti subiti raggiungono la soglia del penalmente rilevante, e, in tal caso, con la sua assistenza, redigere un’efficace denuncia-querela per far sì che tali abusi cessino. Grazie ad un network di avvocati esperti in materia, lo studio si occupa di diritto di famiglia anche sotto il profilo civilistico.
Separazioni consensuali (sorrette dall’accordo delle parti) e giudiziali (non sorrette da tale accordo) e cause per l’affidamento dei figli minori vengono frequentemente affrontate dallo studio con discrezione e competenza.
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