Maltrattamenti in famiglia
La Sesta Sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 45547 del 28 dicembre 2010, ha decretato che, offendere il proprio coniuge può portare alla condanna per maltrattamenti.
Il reato in oggetto consiste nel sottoporre i familiari ad una serie di atti di vessazione continui e tali da cagionare
sofferenze, privazioni, umiliazioni, le quali costituiscono fonte di un disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di vita. Si tratta di una serie di atti lesivi dell’integrità fisica, della libertà o del decoro del soggetto passivo, nei confronti del quale viene posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la stessa convivenza particolarmente dolorosa: atti sorretti dal dolo generico integrato dalla volontà cosciente di ledere la integrità fisica o morale della vittima.
E’ questo l’orientamento giurisprudenziale che ha evidenziato come i comportamenti abituali, caratterizzati da una serie indeterminata di aggressioni verbali, ingiuriose e offensive, ben possono determinare una condanna per il reato di maltrattamento previsto dall’art. 572, c.p.
Episodi incresciosi di tale reato sono più frequenti di quanto si possa immaginare. Pochi e con grande fatica riescono a prendere contezza del fatto che l’ingiuria e gli atti vessatori in generale non sono e non possono essere liquidati come una strisciante eventualità della routine familiare.