Il matrimonio del cittadino straniero in Italia è regolato dall’art. 116 del codice civile italiano.
Tale regolamentazione non richiede al contraente straniero, quale requisito indispensabile per potersi sposare, la regolarità della presenza sul territorio.
Ciò presuppone, dunque, che anche il clandestino può contrarre regolare matrimonio con un cittadino italiano.
A seguito delle avvenute nozze, il coniuge straniero ha diritto e quindi può richiedere all’ufficio competente della Questura il permesso di soggiorno per motivi familiari.
Rispetto ad altre forme di permesso di soggiorno (come ad esempio per motivi di studio, lavorativi etc.) il rilascio del primo permesso di soggiorno a seguito di matrimonio, non è soggetto ad alcuna valutazione circa il possesso dei requisiti per l’ottenimento.
La legge, infatti, (art. 19, comma 2 lettera C d.lgs. 286/98 e art. 28 d.p.r. 394/99) ne impone il rilascio da parte della Questura.
Ciò non toglie però che la Questura potrebbe revocare il titolo di soggiorno qualora venga a mancare uno dei presupposti fondamentali, e cioè l’effettiva convivenza tra i coniugi.
L’art. 30 comma 1 bis del T.U. in materia d’immigrazione, infatti, stabilisce che “il permesso di soggiorno […] è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza [..]”.
Si può verificare il caso in cui la Questura, a seguito di controlli presso la residenza familiare, non riscontri la presenza del coniuge straniero.
Di conseguenza scatta, ai sensi dell’art. 7 e 8 della legge 241/90, un atto di avvio del procedimento con il quale la Questura comunica un preavviso di revoca del permesso di soggiorno.
Successivamente verrà emanato una revoca del permesso di soggiorno.
Urge dunque appellarsi tempestivamente motivando validamente l’eventuale contestazione della Questura.
È probabile che i coniugi vivano effettivamente assieme, ma nell’immediatezza del controllo effettuato dalla Questura non è stato possibile dimostrarlo in quanto momentaneamente assente da casa per motivi di lavoro, studio etc.
Può succedere che, ad esempio per problemi economici, la coppia debba effettivamente separarsi per un periodo di

tempo più o meno lungo.
In questi casi il divieto di espulsione amministrativa previsto dall’art. 19, comma 2, lett. C, D. lgs. 286/1998 è applicabile anche se i due coniugi non convivono, se tale mancata convivenza abbia carattere transeunte e sia dovuta esclusivamente a ragioni economiche. Lo ha stabilito la Cassazione civile – Sezione prima – con una recente ordinanza del 2010, n. 22230.
È altrettanto possibile che il rapporto di affectio maritalis sia terminato così come avviene anche nelle coppie cosiddette “non miste” , in tal caso, è ovvio che nessuno può obbligare gli ex coniugi a vivere insieme per preservare il titolo di soggiorno.
Lo stesso verrà conservato dall’avente diritto, qualora dimostri che sia passato – tra l’atto di matrimonio e la separazione di fatto – un lasso di tempo ragionevole per escludere un matrimonio contratto fittiziamente allo scopo di acquisire fraudolentemente il permesso di soggiorno.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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