S.V. è stata tratta a giudizio per il reato di cui all’art. 612 bis c.p., commesso in pregiudizio dell’ex fidanzato P.E. , il quale ha sporto querela asserendo che la donna in plurime occasioni l’aveva molestato (Stalking) mediante telefonate offensive, messaggi telefonici, visite presso l’azienda agrituristica avviata dall’uomo, ovvero mediante visite presso l’attività commerciale della nuova amica, A.B.

Il G.i.p. di Perugia ha applicato alla S. la misura cautelare del divieto di avvicinamento all’abitazione della p.o., ai sensi dell’art.282-ter c.p.p., ed il locale tribunale ha rigettato, con ordinanza 18.2.11, l’istanza di riesame avanzata dalla prevenuta.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso la S. eccependo l’erronea interpretazione della legge penale e carenza/illogicità della motivazione quanto agli indizi di reità, essendosi il giudice rimesso alla versione portata dalla querela sporta, in data 8.11.10, dalla parte lesa, dotazione insufficiente poiché i fatti non sono suscettibili di ulteriore verifica e non sono stati oggetto di controllo (in mancanza di certificazione medica), in quanto il rapporto di p.g. non attesta le condotte criminose, ma registra la sola voce del P. , né risulta presentata querela specifica per l’episodio oggetto dell’accesso (effettuato il …) della p.g.

Inoltre, prosegue la ricorrente, le accuse risultano generiche e non dimostrano disagio psichico – in rapporto di causalità – e stati di ansia e timore, elementi indefettibili per concretare il reato che non appaiono plurimi, come esige la figura delittuosa, mentre la convinzione della supposta detenzione di arma da fuoco da parte della ricorrente non può ritenersi elemento sufficiente a provare l’evento tipico del reato.

Si deduce ancora mancanza assoluta di motivazione, tale da violare l’art. 125, comma 3, c.p.p., poiché l’ordinanza si limita ad elencare elementi affermati dalla p.o. o riportati dalla p.g., senza vaglio critico e senza la debita considerazione della loro gravità; elementi che, si ribadisce, non sono idonei a descrivere il comportamento illecito ex art.612-bis c.p., mentre, infine, manca la valutazione delle esigenze cautelari in ragione del concreto pericolo di reiterazione di fatti della stessa indole, carenza già propria dell’ordinanza del g.i.p..

Osserva la Corte che il ricorso è infondato.
La reiterata quanto prolissa doglianza dell’imputata non risulta fornire spunto critico adeguato.
La sussistenza dei gravi indizi si fonda sulle dichiarazioni della persona offesa che, come è noto, possono essere assunte, anche da sole, come prova della responsabilità della persona accusata, non necessitando le stesse di riscontri esterni.

Argomentazione valida in questa fase processuale in cui è sufficiente la c.d. probatio minor scaturente dalla valutazione degli indizi acquisiti, in relazione ai quali il giudice cautelare ha espressamente rilevato la coerenza intrinseca delle dichiarazioni e la relativa logica interna.
Erra, ancora, l’impugnazione nel trascurare la dimostrazione della reiterazione dei fatti illeciti, oggetto di plurime querele, requisito oggettivo della fattispecie contrassegnata da abitualità.
Adeguata, inoltre, è la motivazione circa la serietà del pericolo sotteso al comportamento della S. , nella considerazione della sua pervicacia ancora a tre anni di distanza dalla conclusione della relazione affettiva, mentre, infine, è ragionevole l’argomentazione che fornisce la dimostrazione della ricorrenza anche dell’evento naturalistico della fattispecie: il timore, espresso pubblicamente alla p.g., che la donna possa detenere arma da fuoco deve valutarsi come riscontro di uno stato (in questa sede non interessa quanto sia fondata l’apprensione) di paura che trasmoda seriamente l’effimera e passeggera condizione di ansia.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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