Violenze Domestiche

La maggiore difficoltà del processo penale per maltrattamenti in famiglia è nel dimostrare, in assenza di testimoni oculari, le vessazioni e le umiliazioni subite dalla vittima nel chiuso delle pareti domestiche.

Ciò non sempre è possibile, proprio perché si tratta della parola della vittima contro quella del suo carnefice e non è raro che le donne con una storia di maltrattamento, allorquando pure si decidono a denunciare ed affrontare un processo, si debbano trovare a difendere con i denti la propria credibilità.

Tale difficoltà però non appare insormontabile, grazie anche ad una recente sentenza di cassazione che ha finalmente e definitivamente messo fine a questa ulteriore umiliazione per la vittima affermando che le dichiarazioni della persona offesa, ove ritenute intrinsecamente attendibili, possono costituire una vera e propria fonte di prova, su cui può essere fondata, esclusivamente, l’affermazione di colpevolezza dell’imputato.

E in particolare la suprema Corte ha affermato che: “ai fini della formazione del libero convincimento del giudice, puo’ sicuramente tenersi conto delle dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova, su cui puo’ anche essere, esclusivamente, fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, ma la relativa valutazione deve essere adeguatamente motivata, soprattutto in relazione a quei reati l’accertamento dei quali passa, nella maggior parte dei casi, attraverso la necessaria valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilita’, dall’esterno, all’una o all’altra tesi” (Corte di Cassazione Sezione 6 Penale, Sentenza del 28 maggio 2010, n. 20498).

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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