Prima di soffermarci sull’interessante tema della truffa contrattuale, è opportuno ricordare che l’art. 640 c.p. sotto la rubrica «Truffa», punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032 la condotta di chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.

Una particolare forma di truffa consiste nella cosiddetta “truffa contrattuale” che si configura allorquando l’azione criminosa è posta in essere nella conclusione di un negozio giuridico.

In particolare, il reato è integrato dalla condotta di chi, mediante artifici o raggiri posti in essere nel momento della formazione di un contratto, induce il soggetto passivo a concludere il negozio giuridico a lui sfavorevole.

Il reato di truffa contrattuale, dunque, sussiste in tutte le ipotesi in cui una parte abbia concluso un negozio giuridico a condizioni sfavorevoli determinato dagli artifici o dai raggiri dell’altro contraente, senza i quali non avrebbe accettato la conclusione del contratto.

In tale situazione, il nostro ordinamento offre due tipi di tutela, una sul versante civile e una su quello penale.

Qual è la tutela civile?

Nel momento in cui un negozio giuridico viene stipulato a causa dei raggiri posti in essere da uno dei contraenti, la controparte ha la possibilità entro 5 anni dalla scoperta dell’inganno, di chiedere l’annullamento del contratto.

L’annullamento del contratto lo travolge ab origine ripristinando la situazione iniziale come se il contratto non fosse mai stato posto in essere.

L’annullamento può essere chiesto quando il contraente, in assenza dei raggiri non avrebbe concluso il contratto (si parla, in questo caso, di dolo determinante).

Diversa l’ipotesi in cui l’inganno abbia spinto il contraente ad accettare una modifica delle condizioni contrattuali, senza tuttavia incidere sulla volontà vera e propria di concludere il contratto.

In tal caso il negozio giuridico non potrà essere annullato ma la parte non in buona fede potrà essere chiamata a rispondere del danno. (si parla, in tale evenienza di dolo incidente).

Il differente grado di tutela dipende dal fatto che in questo secondo caso la parte avrebbe comunque concluso il contratto sebbene a condizioni differenti.

Talvolta i rimedi di tipo civilistico non sono sufficienti a contrastare la condotta truffaldina.

In tali casi la vittima potrà attivare rivolgersi al versante penalistico della tutela.

Ma qual è la tutela penale?

Come abbiamo visto il codice penale all’art. 640 punisce il reato di truffa con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.

Si tratta di un reato comune, ovvero che può essere commesso da chiunque, per l’integrazione del quale devono sussistere i seguenti requisiti: l’agente deve porre in essere artifici o raggiri idonei ad indurre in errore una persona dalla normale avvedutezza da cui siano derivati un danno per la vittima ed ingiusto profitto per il reo o un terzo.

Gli artifizi e raggiri, dunque, costituiscono requisiti decisivi nella descrizione della fattispecie in esame.

Per artifizio si intende comunemente una simulazione di circostanze inesistenti (per es. qualifiche personali o professionali inesistenti, qualità del prodotto ecc.) o una dissimulazione di circostanze esistenti (pensiamo ad un professionista che sia stato radiato dall’albo di appartenenza), che genera una falsa percezione della realtà esterna, mascherandola.

Il termine raggiro viene definito invece come avvolgimento subdolo e ingegnoso di parole destinate a convincere, orientando in modo fuorviante le rappresentazioni e decisioni altrui (Manzini, 683).

Se, dunque l’artifizio agisce sulla percezione della realtà esterna, modificandola, il raggiro incide sulla psiche della vittima ingenerando un falso convincimento.

Entrambe le condotte devono essere dirette a determinare l’altrui induzione in errore.

L’elemento soggettivo del delitto è il dolo generico, ovvero la rappresentazione e volontà di indurre la vittima in errore con artifici, determinandolo a compiere un atto di disposizione patrimoniale al fine di arricchirsi ingiustamente.

La condotta truffaldina, dunque, potrà assumere diverse forme (si pensi ad esempio alla compravendita di un’opera d’arte mediante alterazione di un certificato di originalità che induca la vittima ad acquistare il bene ad un prezzo elevato), ma – per aversi truffa contrattuale – essa dovrà essere posta in essere nell’ambito della conclusione di un negozio giuridico.

Tutela civile o penale

Come abbiamo visto le forme di tutela sono differenti: in sede civile si potrà chiedere l’annullamento del contratto o il risarcimento del danno, in sede penale la punizione del colpevole e altresì il risarcimento del danno mediante costituzione di parte civile.

Potrebbe anche verificarsi il caso in cui la condotta posta in essere potrebbe integrare sia gli estremi di una responsabilità penale sia la causa per l’annullamento del contratto, in tal caso starà alla vittima valutare nel caso concreto la strada maggiormente idonea a tutelare i propri interessi.

Come difendersi?

– Azione civile: per attivare la tutela civile occorrerà introdurre il relativo giudizio, dimostrando la malafede della controparte e identificando il vizio della volontà determinato dall’altrui condotta truffaldina.

– Azione penale: occorrerà presentare denuncia/querela all’Autorità competente esponendo tutti i fatti rilevanti della vicenda e le persone a conoscenza dei medesimi affinché vengano esperite le relative indagini.

Denuncia o querela?

In primo luogo è bene ricordare che mentre la denuncia è l’atto con cui un soggetto rende edotta l’autorità competente (pubblico ministero o ufficiale di polizia giudiziaria) del verificarsi di reato perseguibile d’ufficio del quale ha avuto notizia.

La denuncia di regola è facoltativa, nel senso che non si è obbligati a sporgerla (fatta eccezione per alcuni gravi delitti) e può essere orale o scritta.

Diversamente la querela, pur potendo anch’essa essere scritta o orale, riguarda reati procedibili a richiesta di parte, deve essere presentata – di regola – entro tre mesi dal fatto e contenere l’inequivoca espressione di volontà della persona offesa di punire l’autore del reato.

Il regime di procedibilità della truffa

Il delitto in parola era originariamente perseguibile a querela di parte nell’ipotesi base e procedibile d’ufficio in presenza di taluna delle circostanze previste al 2° co. della norma o di altra circostanza aggravante

La L. 103/2017, cosiddetta “Riforma Orlando” ne ha tuttavia modificato il regime di procedibilità rendendo il delitto perseguibile a querela di parte anche nelle ipotesi aggravate, salvo che ricorra la circostanza aggravante comune del danno patrimoniale di rilevante gravità ( art. 61, 1° co., n. 7) e quelle contemplate dalla stessa norma al precedente capoverso, in presenza della quale il reato rimane procedibile d’ufficio. 

Per i fatti perseguibili a querela previsti all’art. 640, 3° co. si procede, infine, d’ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale (art. 649-bis c.p.), tra le quali, come detto, quelle previste al capoverso del medesimo art. 640 c.p.

Quando è truffa semplice e quando aggravata?

Il secondo comma dell’art. 640 prevede tre circostanze aggravanti speciali e ad effetto speciale, in quanto è prevista una pena – la reclusione da uno a cinque anni e la multa da euro 309 a euro 1.549:

1. se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;

2. se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità;

2-bis. se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5, ovvero in relazione all’aggravante comune della c.d. “minorata difesa” – ossia l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo e di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa.

Come costituirsi parte civile

Laddove il soggetto passivo del reato non abbia già intrapreso una causa civile, potrà chiedere il risarcimento del danno all’interno del processo penale che le autorità avvieranno nei confronti dell’autore del reato.

In sede di querela, dunque, sarà opportuno  riservare espressamente la facoltà di costituirsi parte civile nel processo penale al fine di far valere le sue pretese risarcitorie in sede penale mediante apposita costituzione da effettuarsi per il tramite di un legale munito di specifica procura speciale.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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