L’associazione per delinquere è un reato che viene integrato quando tre o più persone si associano per commettere una quantità indeterminata di delitti.
Gli ingredienti fondamentali della fattispecie criminosa sono dunque:
1) l’esistenza del cd. pactum sceleris, vale a dire di un accordo diretto alla commissione di una pluralità indeterminata di delitti;
2) la presenza di un programma, più o meno dettagliato, di delitti da commettere;
3) la sussistenza di un’organizzazione o, almeno di una struttura associativa, benchè rudimentale;
4) la componente soggettiva, la cd. affectio societatis, cioè la consapevolezza e la volontà di apportare un contributo – non marginale, ma apprezzabile – al rafforzamento del sodalizio criminoso e di far parte di un’associazione di cui si condividono le sorti ed il programma. Ciò che distingue il concorso di persone nel reato dall’associazione per delinquere sono: l’occasionalità del primo rispetto alla stabilità della seconda e la determinatezza del/dei reato/i da commettere in concorso rispetto all’indeterminatezza del programma dell’associazione. Si avrà dunque concorso quando due o più persone si accordano occasionalmente per commettere uno o più reati ben determinati, mentre si avrà associazione quando almeno tre persone si accordano per dar vita ad un’entità stabile e duratura volta alla commissione di una pluralità indeterminata di delitti.
Il reato di associazione per delinquere è consumato nel momento in cui nasce l’associazione, viene stretto il vincolo associativo, prima ancora quindi della realizzazione dei reati programmati. Vi è tuttavia in dottrina chi, più garantisticamente, ritiene che il reato possa considerarsi realizzato al momento della mera associazione solo quando si tratta di un associazione ben strutturata e minutamente organizzata, in caso contrario sarebbe invece necessaria altresì la commissione di uno o più dei “reati fine”.
In questo secondo caso una questione controversa riguarda la distinzione tra “reati fine” e “reati mezzo”, laddove:
– i “reati fine” sono i reati per la cui commissione l’associazione è stata costituita (esempio: il reato di spaccio di stupefacenti nell’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio);
– i “reati mezzo” sono i singoli reati che costituiscono gli strumenti per la realizzazione dello scopo associativo (esempio: sempre nell’associazione finalizzata allo spaccio, il furto di un furgone per trasportare lo stupefacente).
Può essere chiamato a rispondere di associazione per delinquere chi, al di fuori delle associazioni dotate di un’articolata struttura organizzativa, ha posto in essere solo “reati mezzo” e non “reati fine”?
In altri termini, se Tizio ruba un furgone e trasporta un certo quantitativo di stupefacente da Milano a Catanzaro, consegnandolo ad un’associazione dedita allo spaccio, e in questa condotta isolata si esauriscono i suoi rapporti con l’associazione, può essere chiamato a rispondere di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio?
No, non basta. La Suprema Corte ha affermato che, per poter affermare l’appartenenza di un soggetto ad un sodalizio criminoso non basta la commissione di soli “reati mezzo”, ma è necessaria la partecipazione dello stesso non ad uno ma a più “reati fine”.
Può ritenersi sufficiente, precisa la Cassazione, la partecipazione del soggetto ad un solo “reato fine”, soltanto nel caso in cui “il ruolo e le modalità dell’azione presuppongano un sicuro rapporto fiduciario con gli altri compartecipi e siano perciò tali da evidenziare con certezza la sussistenza del vincolo” (Cass. Pen, Sez. III, n. 43822 del 16 ottobre 2008). Ma ancora, cosa si intende per “partecipazione ad uno o più reati fine? Ha precisato la Corte: “dei reati-fine rispondono soltanto coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all’attuazione della singola condotta criminosa, alla stregua dei comuni principi in materia di concorso di persone nel reato, essendo teoricamente esclusa dall’ordinamento vigente la configurazione di qualsiasi forma di anomala responsabilità di «posizione» o da «riscontro d’ambiente» (Cass. Pen,, Sez. VI, n. 37115 del 8 ottobre 2007).

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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