L’uomo che visse due volte. misure alternative

Carissimo Lettore,

oggi voglio raccontarti la storia del mio assistito D.V. che, grazie alle misure alternative alla detenzione e al buon uso del diritto da parte dei Giudici, si sta lentamente riaffacciando alla vita in libertà dopo ben 32 anni di carcere.

Molti anni fa, D.V. veniva condannato all’ergastolo per reati molto gravi, tra i quali associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio aggravato ed estorsione.

Con l’ingresso in carcere iniziava per il mio assistito un lungo percorso di redenzione.

Allontanatosi dagli ambienti malavitosi e recluso in carcere, infatti, D.V. si trasformava a poco a poco in una persona nuova.

Non so se lo sai, ma nel nostro Paese il carcere non è pensato per essere una crudele punizione (anche se, ahimè, spesso lo diventa) ma è concepito come mezzo per comprendere ed eliminare le ragioni che ci hanno portato a commettere dei reati per far si che questo non accada più in futuro.

La pena, infatti, dovrebbe avere una funzione rieducativa.

In altre parole, la pena dovrebbe accompagnarci nella comprensione del perché abbiamo fatto certi errori.

In questo arduo percorso, i detenuti sono affiancati dagli educatori, professionisti specializzati che danno sostegno psicologico e sono incaricati di valutare i progressi dei detenuti loro affidati.

Anche D.V. intraprendeva questo percorso, non sempre facile, e dopo trent’anni di reclusione, collaborazione e ravvedimento, iniziava a ricevere i primi permessi premio per poter far visita alla sua famiglia.

Visto il buon esito dei permessi e il rispetto delle regole dimostrato, a D.V. veniva concesso il famoso “art. 21” ovvero la possibilità di poter uscire dall’istituto durante alcune ore del giorno per lavorare.

Raggiunti questi traguardi, visti gli enormi benefici tratti da D.V., insieme decidevamo di fare il passo successivo: chiedere al tribunale di Sorveglianza la concessione della semilibertà.

La semilibertà permette al detenuto di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.

Un ulteriore passo verso il ritorno ad una vita di relazione all’esterno delle mura del carcere.

Ottenerla, tuttavia, non è così semplice soprattutto per persone che, come il mio cliente, sono state condannate per reati molto gravi.

Forti della buona condotta tenuta dal D.V., ci impegnavamo per trovare attività utili che il mio cliente potesse svolgere se ammesso al beneficio per sottoporle al Tribunale.

Due società si dimostravano disponibili ad accogliere il D.V. come lavoratore: un locale serale e una cooperativa alimentare.

L’aver trovato delle attività da poter svolgere, tuttavia, non è sufficiente per l’ammissione alla semilibertà, l’art. 50, comma quarto, dell’ordinamento penitenziario recita infatti: “L’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società”.

È necessario pertanto che le attività proposte, nonché i progressi del detenuto stesso, siano valutati positivamente dagli educatori e dalle forze di polizia incaricate di effettuare i controlli.

Depositata la nostra istanza, attendevamo speranzosi le relazioni degli educatori e dei carabinieri in vista dell’udienza decisiva.

Arrivata la relazione degli educatori, non possiamo trattenere un piccolo salto di gioia: era estremamente positiva e accertava i forti progressi compiuti da D.V.

Ecco però che alla lettura della relazione dei Carabinieri, invece, abbiamo un sussulto: questi riportano che nel locale proposto quale luogo di lavoro si sono in passato verificate delle risse e che questo potrebbe far temere dei collegamenti tra il mio cliente e delle associazioni mafiose.

Nonostante l’evidente illogicità dell’affermazione, ci preoccupiamo. I Giudici, infatti, tengono in estrema considerazione quanto riportato in questi rapporti.

Ecco però che in questo caso il Tribunale di Sorveglianza fa buon uso del diritto e, riconoscendo l’enorme percorso umano del D.V. durante la sua lunga detenzione, gli concede il beneficio richiesto.

Insomma, una storia a lieto fine.

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Avvocato penalista Milano Francesco D'andria

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