Atti persecutori o, per usare il termine anglosassone in voga, stalking. Tutti ne sentiamo spesso parlare, ma quando si può legittimamente considerare integrato il nuovo delitto introdotto dal legislatore nel 2009 (d.l. 23/02/2009, n.11)?
L’articolo 612-bis è stato inserito nel codice penale al nobile fine di garantire una tutela anticipata a beni giuridici di primaria importanza, quali la vita e l’incolumità fisica, in altri e più diretti termini, per consentire a chi subisce condotte persecutorie di agire per farle cessare e altresì per impedire che il persecutore arrivi ad aggredire la sua persona e/o quella dei propri cari.
Se il legislatore va senza dubbio elogiato per aver creato questo nuovo strumento di tutela, gli può tuttavia essere mossa una critica per aver plasmato una fattispecie incriminatrice dai contorni indefiniti e che, pertanto, si presta ad essere usata come passepartout, anche contro condotte che in realtà non è stata formulata per colpire.
Ecco dunque la necessità di fare chiarezza.
Anzitutto affinchè si possa parlare di stalking è necessario che il presunto persecutore abbia tenuto, citando l’art 612-bis, “condotte reiterate” di minaccia o molestia. Come si è correttamente osservato in giurisprudenza “appare evidente che l’uso normativo dell’aggettivo “reiterate” implichi sicuramente condotte non sporadiche e frequenti nel tempo” – non commette stalking ad esempio chi si limita a fare sette telefonate in venti minuti – “in altre prole la serialità appare evidentemente un requisito essenziale dell’incriminazione, non comprendendosi, altrimenti, la differenza tra il reato continuato di molestie di cui all’art 660 c.p. o il reato continuato di minacce di cui all’art 612 c.p. e quello di atti persecutori di cui all’art 612-bis c.p.” (Corte d’Appello di Napoli, 15/07/2010). Inoltre, si precisa nella stessa sentenza, “il reato di cui all’art 612-bis è sicuramente un delitto di evento, che non si esaurisce nella reiterazione delle condotte persecutorie, ma che si perfeziona con la realizzazione di uno degli eventi descritti dalla disposizione, ossia: un perdurante e grave stato d’ansia o di paura, ovvero un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di altra persona cui si è legati da un vincolo affettivo, ovvero ancora la costrizione all’alterazione delle abitudini di vita”. Si potrebbe obiettare che chiunque può riferire, trattandosi di stati psicologici soggettivi, di versare in tale stato di ansia o di paura o di aver dovuto mutare le proprie abitudini, ma, come si evince dall’art 192 c.p.p., gli elementi del reato devono essere tutti esaurientemente provati.
Ne consegue che, sancisce una volta per tutte la giurisprudenza citata, lo stato di ansia o di paura coincide con “situazioni di squilibrio psicologico sicuramente non transeunte che, anche se non necessariamente inquadrabili in
patologie psichiatriche o disturbi psichici, devono comunque essere oggetto di una rigorosa prova”, e, per quanto riguarda l’altro possibile evento, “il mutamento delle abitudini di vita deve essere specificamente delineato e soprattutto deve essere rigorosamente provato”.
A titolo di esempio, non ricorre il reato di atti persecutori, per il Signor Tizio, assistito dallo studio, accusato da tre sue ex compagne, dal momento che non risultano in alcun modo provate le conseguenze pregiudizievoli da queste patite per effetto della condotta dello stesso.
Infatti né nel corso delle indagini, né in dibattimento sono emerse prove effettive dello stato di ansia e di paura. Lo scenario cui si è assistito in udienza dibattimentale è stato, al contrario, uno scenario di “deserto probatorio”. La Pubblica Accusa non ha prodotto alcun referto medico, alcun certificato che attestasse l’uso di psicofarmaci o ansiolitici da parte delle ragazze e queste ultime non si sono nemmeno costituite parte civile al fine di far valere le loro ragioni.
Pare al contrario probabile che le denunce, poi rimesse, siano state dettate da motivi di gelosia e rivalsa, data la scarsa attitudine alla fedeltà e alla monogamia del Signor Tizio, che tuttavia, nulla rileva ai fini del diritto penale. Pertanto, per le ragioni poc’anzi illustrate, il reato di stalking ex art 612-bis, non si dovrebbe ritenere integrato se non è adeguatamente provato lo stato di ansia o di paura.